voto
7.5

  • Band:
    HEIMLAND
  • Durata: 00:40:16
  • Disponibile dal: 14/11/2025
  • Etichetta:
  • Edged Circle Productions

I debuttanti Heimland avevano sorpreso un po’ tutti nel 2023 con il loro primo full-length “Forfedrenes Taarer”, grazie ad una miscela davvero intrigante fatta di black metal, melodie malinconiche e tanta raffinatezza. Lo scorso anno il quartetto scandinavo ha continuato sul medesimo registro con un bell’EP, intitolato “Tronearvingens Doed”, ed ora arriva il nuovo album, atteso perché è già tempo di conferme, per capire se davvero questa band norvegese può essere considerata una rivelazione.
Dopo essere entrati nel mondo di “Der Torv Moeter Hav”, possiamo dire che di questi Heimland ne sentiremo, si spera, ancora parlare parecchio.

La traduzione del titolo dell’album nella nostra lingua suona simile a “Dove la torba incontra il mare” e sia titolo che cover dell’album sono piuttosto evocativi: nella copertina si vede anche una tomba che si affaccia sull’immensità del mare, dell’infinito, immagine rievocata in qualche modo dal percorso emotivo presente su questo lavoro.
A dir la verità, l’opener dell’album è forse il brano più ‘tradizionale’, nel senso che si tratta di un black metal elegante, non particolarmente estremo, lasciando solo in parte presagire la poesia contenuta in questa release d’alto livello. La produzione è chiara e professionale, inoltre in “Spre Mine Asker”, più che su altri brani, si ha la possibilità di udire chiaramente il basso, strumento solitamente messo troppo in secondo piano nel black metal. C’è persino qualche passaggio black/thrash che ha la funzione di interrompere con forza le melodie e così facendo inasprisce l’animo dell’album.

Rispetto al debutto questa release è, appunto, meno omogenea: ci sono passaggi più diretti ed in stile black metal vecchia maniera come su “Aa Sverge Ved Kniven”, in cui dimora anche un’anima folk metal stavolta ben presente in primo piano.
Le grandi linee melodiche dal sapore talvolta epico, altre volte malinconico si trovano specialmente nei due capitoli finali di questo denso album: “Nordhordland” è una canzone dal feeling maestoso e, perché no, tipicamente ‘viking’ con un’ultima parte bella violenta. Il capitolo finale, invece, intitolato “Man Maner Maane” è un gran bell’esempio di quanto un genere come il black metal, a dispetto della sua natura sonora intrinsecamente estrema, sappia essere una dolce carezza per un animo ferito, depresso; e proprio la carezza dell’arpeggio distorto di chitarra verso la conclusione dell’album riesce davvero a calmare i sensi riempendo il cuore.
Qui, come nella bellissima “De Tusen Alters Endelikt”, riemergono gli Heimland che abbiamo imparato a conoscere, in tutta la loro maestria: curioso notare come nel debut album sembravano voler racchiudere e riportare tutte le immagini e l’emotività all’interno del casolare della copertina, con la sua quiete ed i suoi struggenti ricordi, mentre stavolta invece i Nostri sembrano voler lasciar liberi i sentimenti affacciandosi sulla riva del mare, affidandosi al vento, alle onde e alla vastità della Natura.
Ed è proprio in questo posto, dove la torba incontra il mare, che è possibile rinascere, grazie alle forze di quella Natura che anche su questo album sono sempre presenti, talvolta in modo strisciante, altre volte in maniera preminente.
Se al debutto questa band ci aveva rapito con un black metal delicato e pieno di emotività, qui i sentimenti si fanno più violenti ed intensi, ma non per questo meno autentici: grazie a delle canzoni non più legate tra loro indissolubilmente e con maggior carattere, gli Heimland ci dimostrano che la loro sensibilità è mutevole, ma sa preservare personalità e stile. Band di spessore.