Donne dolcemente complicate che cambiano per la voglia di piacere agli uomini, che rimpiangono i complimenti dei playboy, che dicono “ancora un altro sì”. Scritta da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone e presentata al Festival di Sanremo 1987, Quello che le donne non dicono è uno dei massimi successi di Fiorella Mannoia. Col passare degli anni certi passaggi sono stati criticati perché descriverebbero una donna dipendente dal giudizio degli uomini.

Sensibile all’argomento, da tempo Mannoia la canta in concerto cambiando due passaggi. Il primo è “Cambia il vento, ma noi no e se ci confondiamo un po’” che diventa “Cambia il vento, ma noi no e se ci trasformiamo un po’”. «In quella frase» avrebbe detto tempo fa (la citazione è contenuta in Wikipedia, ma non è attribuita) «ci vedo una ammissione di debolezza che non trovo appropriata. Sicuramente a volte saremo confuse, a tutti gli esseri umani capita, ma ci leggo come un’ammissione di una sorta di inferiorità; è come se dicessimo: “Scusate se ci siamo ribellate, ma è perché non riusciamo a comunicare più con voi” e il mio orgoglio si è ribellato».

L’altro passaggio controverso è il “ti diremo ancora un altro sì” che chiude i ritornelli, a cui Mannoia aggiunge “se mi va” oppure un “forse”. Perché, come ha detto in un’esibizione a Radio Italia, «non è detto che sia sì per forza. Lo dico tutte le sere, vi prego, insegnate ai vostri bambini così che quando saranno grandi se ne ricorderanno, soprattutto se detto da mamma e papà, insegnati ai vostri bambini che il rifiuto non è un insulto alla virilità. Insegnate ai vostri bambini che quando una donna dice no, indipendentemente dalla condizione in cui si trova, indipendentemente dal vestito in cui si trova, indipendentemente dalla situazione in cui si trova, quando una donna dice no è no».

In altre versioni Mannoia ha sostituito il “sì” con un “no” perché, ha spiegato a Repubblica, «la cantavo e pensavo che non è mica detto, perché danno per scontato che dobbiamo dire un sì? Potrebbe essere un forse, o un no. E quando una donna dice no, con qualsiasi vestito, in qualsiasi circostanza e condizione, è no». E poi: «È una guerra, e a innescarla è sempre lo stesso movente: un uomo che non accetta la volontà di una donna. Oggi che la rete divulga di più le notizie della violenza, ed è fondamentale mantenere i riflettori puntati. Va abolita l’abitudine di colpevolizzare le vittime e di giustificare il carnefice. C’è ancora molto da fare, ed è un percorso che possiamo affrontare solo tutti insieme, perché siamo tutti vittime di stereotipi, uomini e donne».

In un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, Ruggeri dice che è un errore aver cambiato il finale della canzone (l’intervistatrice Sandra Cesarale riporta la versione in cui Mannoia canta “Ti diremo ancora un altro… no”). «Questa è una canzone sulle speranze disattese. Le donne parlano ai loro uomini: non sei più come all’inizio del nostro amore, torna a essere com’eri e ti diremo ancora un altro sì. L’incertezza è già nel testo». E ancora: «Mi sembra una forzatura dettata dalla cultura woke». In ogni caso, dice Ruggeri, «ritengo di aver scritto almeno dieci brani sulle donne di caratura superiore a quella. Ma non si può avere tutto dalla vita e la gente ha deciso diversamente, anche grazie a Fiorella, che è stata un’apripista, cantandola a Sanremo nell’87».

Nell’intervista Ruggeri ricorda che all’epoca c’erano anche altre due candidate a interpretare il pezzo, Fiordaliso e Lena Biolcati. «Con Luigi Schiavone, autore della musica, eravamo indecisi. Ci convinse Roberto Galanti, discografico di Fiorella, una persona di grande spessore e cultura, che oggi non c’è più. Sembra sia andata bene per tutti». Di Mannoia lo colpì «la grinta. Era molto più rock all’inizio, non conosceva mezzi termini. Si è raffinata dopo. Ci siamo conosciuti negli anni ’80, abbiamo fatto un tour insieme, in pullman, lei si affacciava timidamente nel mondo della musica, faceva la stuntwoman».

L’argomento è affrontato anche in un’intervista che Ruggeri ha concesso a Rolling tre anni fa, prima che si cominciasse a parlare dei cambiamenti di Mannoia. Ruggeri diceva che la lettura secondo cui la canzone è la descrizione di donne dolcemente complicate, che cambiano per la voglia di piacere agli uomini, che rimpiangono i complimenti dei playboy, quei complimenti che oggi si chiamano catcalling, è «impietosa». E spiegava che Quello che le donne non dicono «è una canzone dell’87, un’era geologica fa. Per me è la canzone delle speranze disattese. Noi uomini soprattutto mediterranei siamo come politici in campagna elettorale: siamo bravissimi a fare grandi promesse di cui non siamo all’altezza. E comunque se ti metti a discutere parola per parola ci sono tante vecchie canzoni piene di incongruenze alla luce di oggi. La parte ecumenica della canzone è prevalsa e ne resta un bel ricordo, la suonano ovunque l’8 marzo. Poi comunque ho aggiornato il tiro e di canzoni sulle donne ne ho scritte altre, anche se non hanno avuto lo stesso successo».