di
Valentina Santarpia
Uno Stato membro non può considerare un Paese sicuro se non offre una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione. Palazzo Chigi: «La giurisdizione rivendica spazi che non le competono». L’Associazione magistrati: «Dimostrato che nessuno remava contro il governo»
La designazione di un paese terzo come «paese di origine sicuro» deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo. Lo ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione europea pronunciandosi sul ricorso contro la procedura di frontiera nei Cpr in Albania. Una sentenza che «sorprende» il governo italiano che nei mesi scorsi ha avuto uno scontro acceso con i giudici che bloccavano le procedure di rimpatrio: «Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche».
La definizione di «Paese sicuro»
La Corte Ue si è espressa su richiesta del Tribunale di Roma, che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti nei confronti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti nei Cpr in Albania perché provenienti da Paesi ritenuti sicuri dal governo italiano, in particolare Egitto e Bangladesh. Il nodo centrale riguarda la definizione e l’applicazione del concetto di «Paese terzo sicuro» nell’ambito delle procedure accelerate per l’esame delle richieste d’asilo. I Paesi Ue possono esaminare più rapidamente le domande di protezione internazionale, anche alla frontiera, se provengono da cittadini di Paesi considerati sufficientemente sicuri. Il cittadino di un paese terzo – afferma la Corte – può vedere respinta la sua domanda di protezione internazionale in esito a una procedura accelerata di frontiera qualora il suo paese di origine sia stato designato come «sicuro» a opera di uno Stato membro. La Corte precisa che tale designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che quest’ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabiliti dal diritto dell’Unione. Le fonti di informazione su cui si fonda tale designazione devono essere accessibili al richiedente e al giudice nazionale. Per i giudici di Lussemburgo uno Stato membro non può, tuttavia, includere un paese nell’elenco dei paesi di origine sicuri qualora esso non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione.
L’indicazione della Corte mira a garantire una tutela giurisdizionale effettiva, consentendo al richiedente di difendere efficacemente i suoi diritti e al giudice nazionale di esercitare pienamente il proprio sindacato giurisdizionale. Peraltro, il giudice può, quando verifica se siffatta designazione rispetti le condizioni previste, tener conto delle informazioni da esso stesso raccolte, a condizione di verificarne l’affidabilità e di garantire alle due parti del procedimento la possibilità di presentare le loro osservazioni su tali informazioni supplementari. La Cassazione aveva invece stabilito che fossero i ministri a poter decidere se un Paese era effettivamente sicuro, sia pure in presenza di condizioni soggettive.
La controversia
In Italia, la designazione di paesi terzi come «Paesi di origine sicuri» viene effettuata, dall’ottobre 2024, mediante un atto legislativo. In virtù di questo atto, il Bangladesh è considerato in Italia come un «Paese di origine sicuro». In tale contesto, due cittadini del Bangladesh, soccorsi in mare dalle autorità italiane, sono stati condotti in un centro di permanenza in Albania in applicazione del protocollo Italia-Albania, da dove hanno presentato una domanda di protezione internazionale. La loro richiesta è stata esaminata dalle autorità italiane secondo la procedura accelerata di frontiera ed è stata respinta in quanto infondata, con la motivazione che il loro paese d’origine è considerato «sicuro». I ricorrenti hanno impugnato la decisione di rigetto dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, che si è rivolto alla Corte di giustizia per chiarire l’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e gli obblighi degli Stati membri in materia di controllo giurisdizionale effettivo. Il giudice del rinvio sostiene che, contrariamente al regime precedente, l’atto legislativo dell’ottobre 2024 non precisa le fonti di informazione sulle quali il legislatore italiano si è basato per valutare la sicurezza del paese. Pertanto, sia il richiedente sia l’autorità giudiziaria si troverebbero privati della possibilità, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di questa presunzione di sicurezza, esaminando in particolare la provenienza, l’autorità, l’affdabilità, la pertinenza, l’attualità, e l’esaustività di queste fonti.
Le reazioni
Per Magistratura democratica «la Corte di Giustizia Ue dà ragione alla sezione immigrazione del tribunale di Roma sui Paesi sicuri»: «In base alla Direttiva non è possibile la designazione di un Paese come sicuro se alcune categorie di persone restano escluse dalla presunzione di sicurezza», aggiunge Md. Secondo il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Cesare Parodi la sentenza dimostra che «nessuno remava contro il governo. Era stata proposta una interpretazione dai giudici italiani che oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea dice essere corretta. È giusto saperlo, senza polemiche ma per amore di chiarezza».
Secondo la segretaria Pd Elly Schlein, «la Corte europea ha dato torto al governo italiano, chissà se anche stavolta diranno che gli abbiamo ispirati noi e che la Corte europea cerca solo di bloccare la riforma della giustizia in Italia. Si prendano la responsabilità di non aver letto le leggi italiane ed europee e di aver fatto una scelta illegale con centri inumani in Albania che calpestano i diritti fondamentali di migranti e richiedenti asilo, per cui hanno sperperato più di 800 milioni degli italiani».Per Nicola Fratoianni, Avs, «la sentenza della Corte Europea di giustizia è un vero e proprio macigno sulle velleità del governo Meloni e della destra italiana di calpestare il diritto internazionale e il buonsenso. Erano pure arrivati a dire nelle aule parlamentari che i giudici che rispettavano la legge fossero degli eversori. Non era e non è affatto così». Per Riccardo Magi, +Europa, la sentenza «è la Caporetto di Giorgia Meloni e dovrebbe mettere fine al progetto di una Guantanamo italiana per la deportazione di migranti». Per Matteo Renzi (Iv) «Giorgia Meloni sta sprecando in Albania centinaia di milioni di euro del contribuente nonostante i giudici di tutto il Pianeta le stiano dando torto. È sempre più assurdo! Spero che adesso finalmente si fermi. Anche perché i prossimi giudici che si occuperanno del caso saranno i giudici della Corte dei Conti. E lì, come noto, i politici rispondono personalmente». Per il Pd Francesco Boccia «oggi crolla la cartapesta della propaganda meloniana sull’immigrazione» Per il M5S «il fallimento dello spot Albania, costato un miliardo di euro ai cittadini italiani, adesso è conclamato». Sandro Gozi, segretario generale del Partito democratico europeo, ritiene che «il protocollo Italia-Albania» sia un «flop anche giuridico, oltre che un accordo inutile e pericoloso», costato «680 milioni dei contribuenti italiani». Per Matteo Salvini, vicepremier e segretario della Lega, «la sentenza della Corte europea è l’ennesimo schiaffo alla sovranità nazionale del nostro Paese, l’ennesimo incentivo a sbarchi senza limite, l’ennesima riprova non solo dell’inutilità, ma della dannosità di istituzioni europee di questo tipo, che pagano i cittadini italiani che però vengono costantemente umiliati».
Il presidente dei senatori Fi Maurizio Gasparri sottolinea: «Esamineremo attentamente la sentenza, ma se impedisse agli Stati di agire nelle sedi politiche competenti continueremo la battaglia contro un uso politico improprio della giustizia». Fabio Rampelli, FdI, commenta: la filosofia del diritto, «anzi dei diritti, che ispira la magistratura globalista, da Roma a Lussemburgo, sede della Corte di Giustizia dell’Unione europea, pare preveda appunto che tutti abbiano diritti tranne gli Stati nazionali, soprattutto quelli guidati da governi di centrodestra». Per Maurizio Lupi (Nm), dalla Corte Ue c’è stata una «preoccupante invasione di campo».
Dura la reazione di palazzo Chigi: «Sorprende la decisione della Corte di Giustizia UE in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali. Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche. La Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari. Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano», si legge nella nota pubblicata anche dalla premier Giorgia Meloni su Instagram, e commentata aspramente dai vertici Pd che decidono di rispondere direttamente via social.
Per il governo, si tratta di «un passaggio che dovrebbe preoccupare tutti» perché «indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali». E sottolinea come sia «singolare che ciò avvenga pochi mesi prima della entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, contenente regole più stringenti, anche quanto ai criteri di individuazione di quei Paesi». Ma la vicenda potrebbe non chiudersi qui: palazzo Chigi assicura che il governo «per i dieci mesi mancanti al funzionamento del Patto europeo non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini».
Vai a tutte le notizie di Roma
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
1 agosto 2025 ( modifica il 1 agosto 2025 | 15:49)
© RIPRODUZIONE RISERVATA