Senza dubbio l’ultimo Tour de France di Tadej Pogacar ha lasciato qualche punto di domanda sul suo comportamento, sul suo approccio mentale. Se da un punto di vista tecnico-sportivo l’asso sloveno ha sbaragliato il campo e ha dimostrato ancora una volta di essere il numero uno a mani basse, dall’altra parte per la prima volta ha mostrato un suo lato umano, se così possiamo dire. E tante sue dichiarazioni lo confermano.
Ricordiamone alcune: «Non so cosa ci faccio qui in questo momento». «Non vedo l’ora che finisca questo Tour. Conto i chilometri che mancano a Parigi». «Non so per quanto tempo correrò ancora. Ho l’obiettivo delle Olimpiadi poi vedrò». E via discorrendo.

Questa situazione nuova in qualche modo, per tutti coloro che considerano Tadej invincibile contro ogni avversario e avversità, ha stimolato la nostra curiosità e abbiamo posto alcune domande a Paola Pagani, mental coach che lavora con molti atleti e in particolar modo con tanti ciclisti. E’ quindi una figura che conosce bene il nostro ambiente.

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins

Paola Pagani è mental coach formata alla scuola di Anthony Robbins

Dottoressa Pagani, abbiamo visto questo comportamento di Pogacar variare un po’ durante il Tour de France. Molto attivo e brillante nella prima parte, un po’ meno nella seconda. Di fatto si è trovato a battagliare con Van der Poel all’inizio. Ha distrutto la concorrenza sui Pirenei. Dopodiché cosa è successo?

Partiamo dal fatto che è un ragazzo di 27 anni che da tanti anni è nel WorldTour ad un livello altissimo. Corre sempre con gioia ed entusiasmo, e magari un po’ di stress ci sta anche per lui. In più siamo al Tour e il soggetto in questione è Tadej Pogacar: quando si tratta di lui le cose vengono ingigantite. Ripeto, non dimentichiamo che è un ragazzo, nonostante sia un atleta di altissimo livello e per certi aspetti più maturo dei suoi coetanei. Ma semplicemente può essere stato stanco anche lui.

In effetti è sembrato più un aspetto mentale di approccio che non di stanchezza. Perché di fatto in crisi in bicicletta non lo abbiamo mai visto…

Il ciclismo a quel livello è qualcosa di difficilissimo. Io seguo molti atleti e sono entusiasta in particolar modo dei ciclisti, della fatica che riescono a fare. Questi ragazzi, che ci sia pioggia, caldo, vento o tempesta, escono e si allenano o corrono. Se poi spostiamo tutto sul palcoscenico del Tour, in cui ogni cosa è stressante ed è dura perché è sempre una gara, capiamo che diventa tutto ancora più complicato. E se hai una maglia, i tempi di recupero si accorciano ancora, perché sei più sottoposto a interviste e protocolli post-gara. E si riducono le ore di riposo. Questo non ha fatto altro che aumentare il suo stress.

Quello che abbiamo visto noi è che di fatto dopo i Pirenei lui raggiunge l’obiettivo e in qualche modo si ferma, non va oltre. O quantomeno non è il solito Tadej che siamo abituati a vedere. Si ferma…

Si ferma è esagerato. Lui l’obiettivo l’ha raggiunto, sui Pirenei. Poi magari, come avete detto voi, era anche un po’ raffreddato e ci sta che l’insieme delle due cose abbia inciso sul suo entusiasmo. Ma succede, vuol dire che è un essere umano anche lui. Io non conosco Pogacar, ma come essere umano anche lui è “fallibile”. Può essere preso dallo stress, può stancarsi. E poi c’è un’altra cosa molto importante che secondo me va sottolineata.

Tadej ad Hautacam…

E a La Plagne. Al netto della posa, la luce del volto è decisamente diversa

Tadej ad Hautacam…

E a La Plagne. Al netto della posa, la luce del volto è decisamente diversa

Qual è?

Lui ha detto spesso cose sul momento, sull’emozione del momento e non a seguito di un ragionamento. Parlo delle conferenze stampa: parlare in quelle situazioni è diverso che farlo dopo aver recuperato un po’, dopo averci riflettuto. Sono parole immediate, dirette.

Una cosa che ci ha colpito in particolare è stata la tappa di La Plagne. Pogacar fa lavorare la squadra e di solito quando fa così lui va a dama. Quando arriva alla salita fa uno scatto, ma forse perché non era troppo convinto o forse perché la salita era troppo veloce, non stacca Vingegaard. A quel punto non insiste. Perché?

Forse il suo rivale non era l’ultimo arrivato. Parliamo di Jonas Vingegaard, un ragazzo che ha vinto anche lui due Tour de France e in altre edizioni è arrivato sul podio. Guardiamola anche da questo punto di vista: Pogacar non corre da solo. Diamo onore agli avversari.

Poi ci ritroviamo un Pogacar che invece a Parigi sorride e torna a dare spettacolo. Cosa vuol dire quel sorriso?

Ha detto che contava i chilometri che mancavano a Parigi. Probabilmente, essendoci arrivato, era a conclusione del suo percorso. Ma a Parigi trova un nuovo obiettivo: quello di vincere la tappa.

E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo

E Parigi, ritrova la sua carica tipica. Attacca e dà spettacolo

Insomma, dottoressa, l’entusiasmo è una componente importante?

Per lui sicuramente è importante. Quel giorno a Parigi Pogacar lo vive come l’ultimo giorno di un percorso. Dice: «Ci sono arrivato. Ho fatto quel che dovevo». E in qualche modo si riprende. Poi consideriamo anche che fare la vita dell’atleta, soprattutto a quel livello, è una bella vita, però sei sempre sotto i riflettori. Soprattutto lui. E ogni cosa che fa Pogacar è amplificata. Questo alla lunga può diventare stressante. E lo stress può arrivare da un momento all’altro.

Chiaro…

Pogacar ha tutta la mia comprensione possibile. Io lavoro con tanti sportivi, soprattutto ciclisti. Ci sta che ogni tanto possano esserci delle defaillance in mezzo alla loro vita così difficile.

E’ notizia di un paio di giorni fa che Pogacar rinuncia alla Vuelta. E’ la naturale conseguenza di quanto ci siamo detti, dottoressa?

Lui sta dicendo di cosa ha bisogno. E’ semplicemente stanco. E non è una cosa semplice, al suo livello, nella posizione in cui si trova. Questa scelta è prendersi una responsabilità. Magari si sarà anche messo contro alcune persone. Di certo non penso che la UAE Team Emirates abbia delle ricadute negative. Anzi, sicuramente la squadra vorrà preservare il suo diamante. Quindi lo appoggerà. L’importante è non cercare sempre qualcosa di negativo. Spesso in queste situazioni ci sono elementi positivi, o quantomeno vanno visti con prospettive diverse.

Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)

Pogacar rientrerà in gara a settembre. In questo periodo di stacco potrà vivere nel modo semplice che tanto gli piace con la sua compagna Urska Zigart (foto Instagram)

Cioè, dottoressa, può spiegarci meglio?

Anch’io sono un essere umano. Anch’io non sono invincibile. Ho bisogno dei miei tempi, ho bisogno di riposarmi. Non è una cosa negativa. Magari in questo fase di recupero, di lontananza dai riflettori potrà valutare altre cose della sua vita che prima non poteva.

Alcuni media inglesi hanno parlato persino di burnout. Sinceramente questo burnout, questo andare in tilt, sembra un po’ esagerato anche a noi. Lei che cosa ne pensa?

Dico che burnout è una parola che adesso va molto di moda. E la si usa dappertutto. Direi semplicemente che Pogacar è stanco. Quante stagioni ha corso a quel livello? Questo ragazzo ha vinto quattro Tour e in altri due è arrivato secondo. Ci sta che ora sia un po’ stanco. Ci sta che improvvisamente si sia ritrovato a corto di energie mentali. Quando dico che non sempre le cose sono negative, intendo che ora potrà riposarsi. Rigenerarsi. Ricalibrare la mente. E se dovesse aver bisogno di un aiuto, di certo la sua squadra glielo metterà a disposizione. E sarà pronto per i prossimi obiettivi.

E quindi rivedremo il Pogacar che tanto ci fa divertire ed entusiasma la gente e probabilmente anche se stesso…

Ogni volta che parliamo di questi ragazzi ci dimentichiamo che sono giovani. Molto spesso non hanno neanche 25 anni. Proviamo a immaginare noi a 40, 50 anni a rivederci a quell’età: ci riconosceremmo in maniera del tutto diversa. Faremmo cose che non avremmo fatto prima. Abbiamo un’altra esperienza. Ripeto: qui dobbiamo pensare che c’è un ragazzo che è stato sotto stress. Che si è sentito stanco. E tutto ciò è emerso su un palcoscenico come il Tour de France e da un personaggio qual è Tadej Pogacar. Quelle cose che ha detto nell’immediato dopo gara, magari dopo qualche ora sarebbero state diverse. E forse tutto ciò avrebbe avuto un’eco molto più piccola.