Molto spesso a chi ha una patologia cardiaca, e soprattutto una fibrillazione atriale, che comporta palpitazioni, fiato corto e stanchezza, si chiede di astenersi dal bere caffè. Ma che fondamento ha questo consiglio? È ancora attuale? Per capirlo, un team internazionale di cardiologi coordinato dai ricercatori dell’università della California di San Francisco e di Adelaide in Australia ha condotto uno studio randomizzato e controllato denominato DECAF, da: Does Eliminating Coffee Avoid Fibrillation?, i cui risultati sono appena stati pubblicati su JAMA.
Lo studio DECAF
Per valutare l’effetto della caffeina e in generale del caffè su un cuore che batte con ritmi irregolari, gli autori hanno selezionato duecento persone che avevano già una diagnosi di fibrillazione atriale cronica e abbastanza grave, al punto da essere candidate a una procedura chiamata cardioversione, che consiste in una stimolazione elettrica finalizzata a ri-sincronizzare il battito. L’età media era di 69 anni, e 141 erano uomini e 59 donne, curati in Canada, Australia e USA, e tutti bevevano abitualmente caffè da almeno cinque anni prima dell’inizio dello studio.
Il caffè aveva quindi assicurato una diminuzione delle aritmie gravi del 39%
Caffè sì o no?
Dopo la cardioversione, i partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi: a uno è stato chiesto di bere almeno una tazza di caffè o di una bevanda con caffeina al giorno, all’altro di evitare non solo il caffè ma qualunque altra bevanda potesse contenere caffeina e perfino il caffè decaffeinato, in entrambi i casi per un totale di sei mesi consecutivi. Durante tutto il periodo, i ricercatori hanno attentamente seguito i pazienti, e per ciascuno si è registrato ogni episodio di flutter atriale, cioè ogni aritmia tipica di questa condizione che, di solito, determina tra i 250 e i 350 battito al minuto (contro i 60-100 considerati normali).
Il risultato è stato abbastanza sorprendente, perché si è visto che tra chi aveva bevuto caffè si sono registrati episodi di flutter per il 47%, ma tra chi non l’aveva fatto la percentuale era molto più elevata, ossia 64%. Il caffè aveva quindi assicurato una diminuzione delle aritmie gravi del 39%, mostrando un effetto protettivo.
Le possibili cause
Non ci sono, per ora, certezze sui possibili meccanismi coinvolti, così come non c’è una prova diretta del fatto che la diminuzione dei flutter sia dovuta al caffè e non ad altro come, per esempio, al fatto che chi beve questa bevanda tende a berne meno (nocive) di altro tipo come quelle zuccherate. E tuttavia si sa che il caffè è ricco di antiossidanti, che potrebbero avere un ruolo, e ha un’azione antinfiammatoria. Non solo. Il caffè è anche diuretico, e quando il cuore non funziona a dovere una delle prime misure è proprio la somministrazione di un diuretico o quantomeno una serie di consigli che aiutino il paziente a non trattenere liquidi. In ogni caso, il messaggio che sembra emergere da questo studio è chiaro: non c’è motivo per sconsigliare a chi soffre di fibrillazione atriale di non bere caffè, anzi.
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