Mi sono fatto un giro sul sito di Inertial Music, giusto perché non la conoscevo, e mi hanno colpito un paio fra slogan e frasi ad effetto nella sezione About. Innanzitutto Quality over Quantity, che, vabbè, lo devi un attimino dimostrare nel tempo. Poi il fatto che, in un’epoca dominata dai singoli, loro puntano tanto sull’album e non lo identificano solamente in una collezione di tracce. È un po’ quello che vado dicendo da anni qua sopra: è la fotografia del momento della band in una discografia, è una cosa assai importante che si continui ad uscire con l’album. Altrimenti non si capirà più dove questi ragazzi vorranno andare a parare nel presente e nel futuro, e quale traccia lasceranno del loro passato.
Una volta incuriosito dalla progettualità di questa giovane etichetta ho fatto partire The Grief Sower, EP di debutto dei lombardi Behind Starvation, presentati come influenzati dai primi In Flames e dai Dark Tranquillity, al che sono d’accordo soltanto in una minima parte. Limitato in 150 copie in formato fisico, l’EP si dipana lungo cinque tracce di cui l’ultima, una cover dei The Rasmus, mi metteva una certa paura all’idea di affrontarla. Non so se ve li ricordate.
Sui primissimi In Flames posso essere in parte d’accordo. Aggiungo che c’è una sensibilità e una sofferenza accomunabili con facilità agli At the Gates, senza entrare nel merito di quale loro precisa fase storica, ma diciamo Terminal Spirit Disease se proprio una risposta la volete. Ci tengo a precisare che non ho collegato The Grief Sower al loro Gardens of Grief o cazzate del genere. Diciamo anche che i Dark Tranquillity li sento soprattutto in occasione dell’inizio di Despite Existence e poco più, e sono grossomodo quelli di The Gallery.
Quality over Quantity è un concetto che trova qui riscontro, ma avrei portato una maggiore pazienza e puntato direttamente all’uscita in formato full length, con otto bei pezzi supportati da una cover per farci uscire tutti scemi col cervello, tipo, che ne so, My Favourite Game dei The Cardigans coi blast beat.
Le canzoni sono tutte di ottimo livello. Il gruppo è preparatissimo nonostante sia al debutto, anche se le foto promozionali tradiscono un’età media non esattamente da debuttanti. Collapsing Monuments attacca con un riff death metal lento che è un assoluto macigno (ogni tanto in questa occasione i recensori adoperano il termine sulfureo, e io perdo altri cinque anni di vita).
La cover di In The Shadows dei The Rasmus, direttamente da quell’orrendo periodo discografico che fu il 2003, è esattamente come me la immaginavo: sedie rotte, gente vomitata collassata per terra negli angoli di un locale, blast beat, riffoni sulfurei, uno dei tipi vomitati che improvvisamente urla che In the Shadows sono i Mercyful Fate e basta e poi muore. Sono dell’idea che una cover al cento per cento snaturata rispetto all’originale abbia poco senso d’esistere, quindi, al prossimo giro, metteteci meno paura e una Cold o una The Dividing Line andranno ugualmente benissimo.
Vent’anni fa, riflettendoci, mi sarei incazzato come una bestia per l’uscita dell’ennesimo gruppo su quel filone lì, che mi rifiutavo anche solo di rammentare. Insomma, tutto molto bello, con l’augurio che il loro nome lo si possa sentire pronunciare in giro con una certa continuità, in futuro. Un consiglio però ve lo do: vi siete fregati da soli perché il vostro debutto è già un album prontissimo, e questo accorcerà il tempo a vostra disposizione per maturare ed evolvervi. A questo punto sarà praticamente vietato sbagliare ogni colpo futuro. Lavorate sui pezzi e accertatevi sempre che siano non buoni, ma ottimi, prima di uscire con un nuovo lavoro. Mai un passo indietro. E soprattutto non abbiate paura a cambiare radicalmente alcune pedine da un album al seguente, perché uscire pronti al primo colpo, e rimanere su quella mattonella ritenendola la più sicura, potrebbe distogliere l’attenzione su di voi molto presto. Altro non ho da dire se non complimenti. (Marco Belardi)
