Di fronte alla possibilità che la Russia attacchi un Paese dell’Unione Europea nei prossimi cinque anni, l’Ue si sta muovendo per non farsi trovare impreparata. L’idea è quella di realizzare una zona “militare Schengen” per facilitare lo spostamento di eserciti e carri armanti in tutto lo spazio Ue con la stessa facilità con cui si spostano i civili.
Come funziona ora
Ad oggi lo spostamento di macchinari bellici e dell’esercito da un paese dell’Ue all’altro non è così semplice se si pensa che alcuni Stati chiedono un preavviso di 45 giorni per i movimenti di truppe transfrontalieri. Senza dimenticare il lungo iter burocratico. Un secondo problema è l’inadeguatezza delle infrastrutture: molti ponti non sono in grado di sostenere il peso dei carri armati, le gallerie ferroviarie sono troppo piccole e lo spazio tra i binari troppo esiguo per ospitare veicoli militari.
Cosa cambierebbe con la zona “militare Schengen” ?
La Commissine von der Leyen rilancia, a distanza di sette anni, il piano d’azione per la mobilità militare in Europa proposta dalla Commissione Juncker nel 2018. Il progetto, presentato oggi a Bruxelles, propone un regolamento unico condiviso da tutti i paesi dell’area Schengen per velocizzare lo spostamento di armamenti. La Commissione mira anche all’innovazione nel settore militare e a rafforzare l’industria della difesa europea, con una roadmap per la trasformazione dell’industria della difesa dell’Ue. Il pacchetto prevede un preavviso massimo di tre giorni per la richiesta di transito di truppe ed equipaggiamento militare. Un permesso che verrebbe rilasciato una volta sola e in tempo di pace, mentre nel caso di conflitto in corso sarebbe sufficiente una notifica. Non in ultimo, iI trasporto militare sarebbe esentato da alcune regole civili, come i divieti di circolazione nei fine settimana e le limitazioni sul cabotaggio (il trasporto di merci tra due punti all’interno di uno stesso paese da parte di un operatore estero).
Il sistema di emergenza
Il pacchetto prevede anche la creazione di un sistema di emergenza denominato EMERS (European Military Mobility Enhanced Response System). Questi, in caso di crisi, sarebbe attivato rapidamente per dare priorità assoluta ai trasporti militari su reti stradali, ferroviarie e aeroportuali. Entrando in uno stato di emergenza, si pensa anche a deroghe automatiche per i tempi di guida per gli autisti civili, la sospensione di restrizioni ambientali e l’accesso prioritario a tutte le infrastrutture di trasporto. È stato pensato anche un «Solidarity Pool», ovvero un catalogo di mezzi di trasporto come aerei, navi, treni che i 27 paesi potranno condividere in caso di necessità, affiancato da una “Riserva di Trasporto Strategico” dove gli operatori civili si impegnano nel mettere a disposizione capacità di trasporto aereo e marittimo. Gli Stati membri dovranno poi identificare le infrastrutture strategiche a duplice uso (civile e militare) e applicare misure di protezione rafforzate «contro cyberattacchi, sabotaggi e influenze straniere».
Investire nella difesa quando «non se ne ha bisogno»
La Commissione propone quindi un aumento di dieci volte dei fondi comunitari per le infrastrutture a duplice uso (civile e militare) nel prossimo bilancio a lungo termine (2028-2034), portandoli a 17,65 miliardi di euro. Anche se, stando ad alcune fonti vicine al dossier, il reale fabbisogno per mettere il sistema in sicurezza potrebbe essere persino 5 volte più altro. L’Alta Rappresentante Kaja Kallas ha difeso la necessità di investire nella sicurezza dell’Unione. «Il problema della spesa nella difesa è che devi investire quando», in apparenza, «non ne hai bisogno». Questo, ha continuato, rende molto difficile spiegare agli elettori che investire nella difesa è indispensabile. «Quando ne hai bisogno» perché sei sotto attacco, allora è «troppo tardi» per investire.
Quanto costa l’ammodernamento delle strutture
L’Ue ha individuato 500 infrastrutture tra ponti, gallerie, strade, porti e aeroporti che è necessario rafforzare per gestire traffico militare intenso. La Commissione Europea ha proposto un aumento di dieci volte dei fondi comunitari per le infrastrutture a duplice uso (civile e militare) nel prossimo bilancio (2028-2034), portandoli a 17 miliardi di euro, ma l’operazione ha un costo stimato di 100 miliardi di euro. Un costo che si aggiunge all’impegno di spesa, preso con la Nato, del 5% del proprio PIL alla difesa.
Formare 600.000 specialisti nel settore della difesa
In questa corsa al riarmo, l’Unione Europea punta anche nell’ambito della formazione. Recentemente, infatti, ha annunciato l’obiettivo di qualificare 600.000 persone entro il 2030 nel settore della difesa per rispondere alla sempre più ampia richiesta di competenze nell’industria della difesa. La carenza di personale qualificato, infatti, rischia di diventare un freno per la capacità produttiva e operativa dell’Ue. Il mercato del lavoro in questo settore ha iniziato a risalire dal 2022, anche per effetto dell’aumento della spesa militare dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Nel 2023 ha generato 581.000 posti di lavoro e le assunzioni restano del 41 per cento superiori ai livelli del 2021.
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