“Non avrebbe mai dovuto aprire quella scatola”. Il deputato repubblicano di Washington, Dan Newhouse, critica apertamente Donald Trump. Il presidente non avrebbe mai dovuto chiedere agli Stati repubblicani di ridisegnare i collegi elettorali, in modo da favorire i candidati del G.O.P. alle prossime elezioni di Midterm. La cosa si sta infatti rivelando un boomerang politico dagli esiti imprevedibili. Un tribunale federale del Texas ha bloccato la proposta di modifica della mappa elettorale sostenuta dal governatore dello Stato, Greg Abbott. In altre parti del Paese i repubblicani incontrano difficoltà non previste. Intanto i democratici rispondono colpo su colpo a quella che pare una palese violazione delle regole della democrazia. “È tutto completamente folle”, osserva Kevin Kiley, deputato della California, altro repubblicano sempre meno in sintonia con la Casa Bianca.
Non sono giorni politicamente facili per Donald Trump. Mentre il presidente riceve alla Casa Bianca, tra squilli di trombe e promesse di affari miliardari, il principe della corona saudita Mohammed bin Salman, la sua leadership mostra le prime incrinature. Un centinaio di deputati del G.O.P. hanno costretto Trump ad allinearsi alla richiesta di rendere pubblici gli “Epstein Files”. I cento avrebbero votato con i democratici per la divulgazione dei documenti, in una chiara, sino a poco tempo fa inimmaginabile, sfida alla Casa Bianca. Il partito è intanto percorso da sempre più dubbi e riserve. Il presidente è andato allo scontro aperto sullo shutdown più lungo di sempre, vincendo per il momento la battaglia ma scatenando un’ondata di malcontento per la cancellazione dei sussidi per la sanità. Mentre l’economia non decolla, il mondo conservatore litiga su tutto: da Epstein ai visti H1-B per i lavoratori stranieri a come gestire gli antisemiti di destra. Su “Truth Social”, Trump esalta i “Grandi Successi del partito repubblicano”. Molti, tra gli stessi repubblicani, non ne sono così convinti.
In un quadro già turbolento, si inserisce la questione dei collegi elettorali. Un panel di giudici federali del Texas ha deciso che il recente ridisegno della mappa elettorale nell’Ovest dello Stato, che dovrebbe fruttare ai repubblicani cinque seggi in più alle prossime elezioni di Midterm, è illegale. Ci sarebbero infatti, secondo i giudici, prove sostanziali di gerrymandering, quindi di manipolazione dei distretti sulla base di criteri razziali, ciò che è vietato dalla Costituzione e dal “Voting Rights Act” del 1965. Sostanzialmente, i repubblicani del Texas avrebbero modificato i confini dei collegi in modo da diluire il voto ispanico e afroamericano, tradizionalmente più vicino ai democratici, favorendo l’elezione di candidati repubblicani. La cosa è stata esplicitamente voluta da Trump, che ha fatto pressione sull’esitante governatore Abbott e su molti repubblicani del “Lone Star State” per far partire la battaglia. Il presidente ha del resto il terrore di perdere la maggioranza al Congresso alle elezioni del 2026. A quel punto, gli toccherebbe passare i restanti due anni alla Casa Bianca senza poter fare praticamente nulla. Un vero e proprio incubo per lui, per la sua indole, per il suo progetto di restaurazione conservatrice dell’America.
Dal Texas, la battaglia si è presto diffusa ad altri Stati a guida repubblicana. Missouri, North Carolina e Ohio hanno cambiato la loro mappa elettorale, offrendo ai repubblicani quattro probabili, ulteriori collegi alle elezioni del 2026. Florida e Kansas stanno per seguire, sempre su sollecitazione della Casa Bianca. La controffensiva democratica non si è fatta attendere. Sono state intraprese una serie di azioni legali per bloccare l’attuazione delle nuove norme. Parallelamente, i democratici hanno proposto un loro ridisegno dei collegi. Una misura sponsorizzata dal governatore della California Gavin Newsom potrebbe dare ai dem cinque seggi in più alla Camera nel novembre 2026. Un seggio in più verrebbe dal ridisegno dello Utah, due da quello della Virginia. Anche le leggi votate dai democratici sono comunque finite in tribunale e attendono una conferma giudiziaria.
La domanda, per i repubblicani, è però a questo punto soprattutto una. Ne valeva la pena? Valeva la pena di intraprendere la battaglia, logorante in termini di impegno politico, costosa per tutte le cause da affrontare? Non sarebbe stato meglio dedicarsi ad altre questioni, più vicine agli interessi e alle preoccupazioni degli americani? I benefici dello scontro appaiono del resto relativi. Anche se alla fine la Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, dovesse dare il via libera al ridisegno delle mappe, i repubblicani finirebbero per guadagnare assai poco, di fronte alle concomitanti strategie democratiche. Meglio lasciar perdere, è l’idea che comincia a farsi strada in diversi circoli conservatori. I repubblicani dell’Indiana hanno per esempio deciso di rimandare al 5 gennaio il voto del Senato locale sui collegi elettorali. Ora si rimanda, poi chissà. L’unico che continua a non aver dubbi è lui, Donald Trump, che tuona convinto sull’efficacia della sua “Big Beautiful Map”. È un tuono che risuona sempre più flebile, e lontano, per le strade dell’America repubblicana.