Enzo Iacchetti, perché – oltre alla malinconia, come lei ci ricorda – non possiamo perderci questi 25 minuti di felicità?
«Beh, perché è un bel viaggio nella vita. E, alla fine, dopo avere passato in rassegna i vari capitoli della mia esistenza, mi sono sentito meglio. Inoltre, questo libro è un omaggio a mio padre, con il quale non ho avuto un buon rapporto, quasi mai, perché essendo morto molto giovane non è mai riuscito a vedere quello che facevo, nemmeno all’oratorio. Non ci siamo quasi mai parlati. E quando penso di avercela fatta, lui che non condivideva le mie scelte, mi commuovo per esempio rileggendo le ultime pagine del libro. Libro che è stato come una auto-analisi per buttare fuori tutti quei pensieri brutti che avevo anche nei suoi confronti e che probabilmente erano sbagliati».
E questo ripensamento la porta a farsi prendere dalla malinconia, un sentimento che ha voluto anche nel sottotitolo del libro
«Sulla malinconia, credo sia normale ritrovarla negli esseri umani delicati. Gli uomini cattivi non ce l’hanno, la malinconia. Nonostante una vita felice e considerata di successo, alla fine ci sono delle sere in cui arrivo a casa magari dopo una giornata piena di attività e mi ritrovo da solo con lei: è la malinconia che mi fa compagnia in alcune occasioni, anche se bisogna stare attenti che non sfoci in depressione. E io qualche volta l’ho sfiorata, anche durante il successo».