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La morte di Ilaria Parimbelli: diagnosi di ansia, ma era encefalite. Il processo: «Andava consultato un neurologo»
SSalute

La morte di Ilaria Parimbelli: diagnosi di ansia, ma era encefalite. Il processo: «Andava consultato un neurologo»

  • 20 Novembre 2025

di
Giuliana Ubbiali

Dalmine: la ragazza, di 26 anni, andò in ospedale dopo aver avuto febbre, cefalea e allucinazioni. Imputato medico del pronto soccorso del Policlinico di Zingonia. Parlano i periti: la tac però sarebbe stata negativa

Quando la discussione viene rinviata al 12 gennaio, Carlo Parimbelli lascia l’aula: «È meglio che esca», sussurra trattenendosi. Non è facile accettare i tempi della giustizia per un papà che ha perso la figlia quattro anni fa, dopo due in stato vegetativo.

Ilaria aveva 26 anni, il 23 settembre 2019 fu dimessa dal Pronto soccorso del Policlinico San Marco di Zingonia con una diagnosi di crisi d’ansia. Quattro giorni dopo, all’ospedale Papa Giovanni XXIII, le diagnosticarono una encefalite erpetica. Morì il primo agosto 2021 per una polmonite ab-ingestis, che il pm Maria Esposito collega al deficit di coordinamento e deglutizione. A processo per responsabilità colposa medica e omicidio colposo è imputato Francesco Bagnolo, 63 anni, medico che prese in consegna la paziente da un collega (assolto) e poi la dimise. Con Parimbelli, di Dalmine, c’erano la moglie Sonia Paradiso e il figlio Federico, 28 anni, parti civili con l’avvocato Oliviero Mazza. La giudice Donatella Nava si è affidata al medico legale Andrea Verzelletti e all’infettivologo Roberto Stellini, suoi periti. 

Dalle loro argomentazioni si è compreso come in medicina non esista il bianco e il nero, soprattutto con un virus «subdolo»
. Per decidere, però, la giudice è andata dritta al punto più volte. La ragazza andò al Pronto soccorso dopo aver avuto febbre (passata all’accesso, ma non risulta provata prima delle dimissioni), vomito, mal di testa e allucinazioni. I periti sostengono che se da un lato, a fronte degli esami ematochimici negativi e delle prime valutazioni, non si poteva «pretendere» che un’ipotesi di encefalite «fosse così immediata», dall’altro «la sintomatologia era meritevole di approfondimento». In quel momento, però, se anche il medico imputato avesse disposto una tac «probabilmente sarebbe stata negativa». Allora, interessa alla giudice, «era quanto meno esigibile che Bagnolo avesse il sospetto di qualcosa al cervello?». I periti dicono che «non fu dato sufficiente peso alle allucinazioni, fuori luogo rispetto a una crisi d’ansia, il collega avrebbe dovuto effettuare un approfondimento strumentale e chiedere una consulenza neurologica».



















































In particolare, spiega Stellini, «un neurologo avrebbe potuto dare un diverso peso alle allucinazioni, che provengono da una parte particolare del cervello in cui di solito può sorgere l’herpes». L’infettivologo indica la sequenza, con un neurologo in campo: «Faccio una tac, se è negativa faccio un elettroencefalogramma o una risonanza». Stringi, stringi, la giudice chiede: «Se Bagnolo avesse consultato un neurologo, si può dire che la povera Ilaria avrebbe potuto avere una diversa evoluzione?». Stellini, che «in 45 anni ho affrontato diversi casi», si mette nei panni di chi deve decidere: «Se non capisco mi rivolgo a chi mi può aiutare nella diagnosi. Non comprendiamo perché non è stato fatto. Certamente una condivisione con un neurologo sarebbe stata utile per arrivare a un sospetto».

All’udienza di febbraio, Bagnolo disse che la paziente gli riferì di aver avuto attacchi di panico, sintomi d’ansia e cefalea, di un periodo di stress. Per il suo avvocato Massimo Cordiano è importante conoscere «con quale grado di probabilità» un neurologo avrebbe disposto una tac. L’avrebbe «probabilmente» chiesta, ha risposto Verzelletti, ribadendo però che in quel momento avrebbe dato esito negativo. «La fase successiva sarebbe stata un elettroencefalogramma, ma non è detto che sarebbe stato disposto d’urgenza». La situazione fu evidente il 26 settembre, quando Ilaria non riconosceva più i genitori. Ma i periti non possono conoscere «la sensibilità» che avrebbe avuto il neurologo 3 giorni prima, con una paziente giovane e «sintomi transitori».


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20 novembre 2025 ( modifica il 20 novembre 2025 | 07:51)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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