Le sanzioni di Trump contro le compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil, entreranno in vigore da domani, 21 novembre, e potrebbero davvero cambiare l’andamento della guerra. La situazione in Russia è già particolarmente complicata: la strategia ucraina di bombardare le raffinerie per metterle fuori uso si sta rivelando fruttuosa e i più grandi importatori di petrolio russo, come la Cina e l’India, hanno già tagliato gli afflussi per evitare ogni possibile ripercussione o sanzione extra da parte degli Stati Uniti. Rispetto a tutte le altre misure economiche attuate dal 24 febbraio 2022 a oggi, queste potrebbero davvero dare una svolta all’invasione dell’Ucraina. Anche perchè se calano le vendite di petrolio, cala anche il denaro per finanziare l’economia bellica.

Le sanzioni degli Stati Uniti

Donald Trump, nella speranza di risolvere la guerra, ha sanzionato due tra le principali compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil. Gli effetti si stanno già vedendo, prima ancora dell’entrata in vigore. Gli acquirenti canonici si sono spaventati preventivamente e hanno bloccato gli afflussi dalla Russia. Nel Mar cinese orientale e nel Mar Giallo sono in stallo barili e barili di greggio, le compagnie Sinopec e PetroChina hanno cancellato il 45% delle spedizioni programmate e un gruppo di cinque raffinerie indiane, normalmente responsabili dell’acquisto di circa il 65% delle esportazioni totali di petrolio via mare da Mosca, ha già sospeso le importazioni di dicembre. A ottobre spediva circa 3,6 milioni di barili di petrolio al giorno, ora, nonostante ci si stia avvicinando all’inverno, si è già scesi a 3 milioni al giorno, secondo Bloomberg. Nel 2021 e 2022 la media era di 4,8-5 milioni di barili spediti quotidianamente. E le sanzioni non sono ancora neanche partite ufficialmente.

L’attacco alle raffinerie

La situazione russa è ancor più complicata a causa dei continui attacchi alle raffinerie operati dall’Esercito ucraino. L’industria petrolifera russa è sotto pressione e la capacità di raffinazione è drasticamente diminuita in questi ultimi mesi. A partire da agosto la strategia offensiva di Kiev si è concentrata proprio sull’assalto via droni low cost agli impianti di raffinazione e alle infrastrutture di trasporto energetico dentro i confini russi, anche a migliaia di km dall’Ucraina, mettendoli fuori uso. Se a luglio la Russia era in grado di lavorare circa 5,4 milioni di barili al giorno, a fine ottobre si è registrata una diminuzione di circa il 10%, al punto che attualmente Mosca deve utilizzare le riserve accumulate negli anni. Secondo Novaya Gazeta, con gli attacchi di novembre potrebbe essere ridotta di un ulteriore 15%.

Sono crollate le entrate derivanti dal petrolio

La conseguenza più diretta, almeno sul breve termine, è sono diminuiti anche gli afflussi alle casse del Tesoro: le entrate derivanti dal petrolio e dal gas sono calate del 21% tra gennaio e ottobre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, tra calo dei przzi e sanzioni. In termini assoluti, il Tesoro dovrebbe aver perso entrate per 21,3 miliardi di euro nei primi 10 mesi di quest’anno. Tutto denaro che sarebbe stato investito nell’industria bellica, per finanziare l’invasione dell’Ucraina. Se la Russia è impossibilitata a vendere il petrolio la perdita economica è ingente: se la coperta è corta, bisogna pure tirare da qualche parte. E per l’occidente, la speranza è che resti scoperta l’economia bellica.

Le conseguenze

Se cala la produzione e la vendita, calano anche le entrate di bilancio. I produttori di petrolio, che magari già posseggono del greggio o che non hanno subito danni alle raffinerie con gli attacchi russi, comunque non sanno dove investire il loro petrolio, che resta invenduto. Le ripercussioni non riguardano soltanto l’export, ma, a catena, anche il mercato interno. La carenza di benzina sta provocando un aumento dei prezzi e questo fattore, unito a tutti gli altri, potrebbe portare a un crollo del rublo, anche in breve tempo. La svalutazione della moneta, inoltre, potrebbe contribuire a una nuova e ulteriore ondata di inflazione e a una maggiore pressione sull’economia civile, che metterebbero in seria difficoltà Putin.


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