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La procura di Milano ha avviato un’indagine con l’accusa di caporalato contro l’azienda di moda Tod’s. È indagata l’azienda stessa e tre dirigenti: Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni. Secondo la procura, i tre avrebbero usato la manodopera di persone cinesi in condizioni di sfruttamento per la produzione di capi di abbigliamento, approfittando del loro stato di bisogno. Gli operai cinesi in questione sono 53 e le aziende per cui lavorano 6, tutte inserite nella filiera produttiva di Tod’s in Lombardia e nelle Marche.
Secondo la procura i dirigenti di Tod’s sarebbero stati consapevoli delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori: orari superiori ai limiti di legge, stipendi inadeguati, violazione di varie norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, alloggi fatiscenti e degradanti. L’utilizzo, l’assunzione o l’impiego di manodopera in queste condizioni, approfittando dello stato di bisogno, configura proprio il reato di caporalato.
Secondo la procura Tod’s aveva affidato a società esterne le ispezioni per verificare il rispetto della legge negli stabilimenti in cui venivano prodotti i capi, ma non aveva poi tenuto «minimamente conto» dei risultati delle ispezioni, secondo cui ci sarebbero stati «numerosi indici di sfruttamento».
L’indagine è seguita da Paolo Storari, il pubblico ministero che negli ultimi anni ha avviato una serie di inchieste contro grandi marchi della moda e del lusso (ma anche della logistica e della grande distribuzione) accusandoli di non fare abbastanza per prevenire gli episodi di sfruttamento, caporalato o evasione fiscale presenti nelle loro filiere produttive, e in particolare nelle aziende più piccole che producono capi in appalto o in subappalto per conto del marchio committente.
Il modo di agire di Storari – finora in Italia non ce ne sono stati altri simili e per questo è stato chiamato “metodo Storari” – è discusso e rilevante perché per la prima volta identifica come responsabili dei reati non solo le aziende che lavorano in appalto o subappalto, ma direttamente i marchi committenti, anche se non hanno formalmente responsabilità penali (perché non hanno, o sostengono di non avere, il controllo sull’attività delle aziende più piccole inserite nella loro filiera). È anche un metodo criticato: diversi giuristi lo contestano ritenendo che abusi dei poteri di un pubblico ministero per fare un utilizzo politico della giustizia, anziché limitarsi a punire i singoli reati.
Il caso di Tod’s però è diverso. In altri Storari aveva chiesto al tribunale di sottoporre le aziende a misure preventive come l’amministrazione giudiziaria, che non ha conseguenze penali e consiste nel nominare uno o più funzionari che correggano i meccanismi illeciti all’interno di una filiera: nel caso di Tod’s (per cui comunque Storari aveva già chiesto l’amministrazione giudiziaria), l’accusa riguarda precisi reati.
Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni, i tre dirigenti indagati, all’interno di Tod’s sono responsabili a vario titolo proprio di controllare la filiera e la correttezza delle pratiche al suo interno. A differenza di quanto accaduto con precedenti inchieste, in questo caso la procura ritiene di avere sufficienti elementi per dimostrare che i tre sapessero dello sfruttamento nelle aziende che lavoravano direttamente o indirettamente per Tod’s, attraverso il risultato delle ispezioni che avrebbero ignorato: la novità è il cosiddetto “dolo”, il principio per cui una persona compie consapevolmente un reato. Tod’s è indagata come società – cosa che normalmente non accade, le persone vengono indagate – in quanto secondo la procura non si è dotata di un modello organizzativo in grado di evitare che i propri amministratori e dirigenti compissero reati nell’interesse o a vantaggio dell’impresa, resi possibili da carenze della struttura organizzativa.
Le accuse della procura sono in contraddizione con quanto detto dal presidente di Tod’s, Diego Della Valle. Il mese scorso, quando si era saputo che Storari aveva chiesto l’amministrazione giudiziaria, Della Valle aveva definito le accuse «pesanti e ingiuste», invitato Storari a visitare gli stabilimenti e lo aveva accusato di agire in maniera «superficiale», aggiungendo che indagini di questo tipo rischiano di danneggiare enormemente il “made in Italy”.
Giovedì Tod’s ha commentato l’indagine per caporalato dicendo che sta «esaminando con la stessa tranquillità l’ulteriore materiale prodotto, con preoccupante tempismo, dal dottor Storari».
Le ispezioni nelle aziende che producevano capi per Tod’s sono state svolte a partire da ottobre del 2024 in vari punti della Lombardia: la documentazione della procura contiene immagini e descrizioni di alloggi all’interno dei luoghi di lavoro, consumi energetici costanti anche in orario notturno, macchinari privi di dispositivi di sicurezza, sostanze infiammabili conservate in modo pericoloso. La documentazione contiene anche fotografie, scattate negli stabilimenti, di capi con etichette del marchio Tod’s.
La documentazione disponibile non permette di chiarire in quali di questi stabilimenti fossero state effettuate le ispezioni di cui secondo l’accusa Bernardini, Bartoloni e Mascioni avrebbero ignorato i risultati, né ci sono ulteriori dettagli rispetto a questa accusa. La procura, nel frattempo, ha chiesto al tribunale di vietare a Tod’s di pubblicizzare i propri prodotti per sei mesi: la prima udienza è prevista per il 3 dicembre.
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