di
Paolo Carnevale
Lunedì 24 novembre sale sul palco degli Arcimboldi con il suo nuovo tour «Sono solo canzonette 2025»: «Bello suonare su questo palco, progettato dal mio ex prof Gregotti»
«Mi sono reso conto che molte delle mie “canzonette” sono estremamente attuali e sottolineo ironicamente quanto, oggi più di ieri, siano contemporanei i personaggi di “Burattino senza fili” in quest’Italia sempre più collodiana». Con i suoi i caustici ritratti dell’attualità, Edoardo Bennato lunedì 24 novembre sale sul palco degli Arcimboldi con il suo nuovo tour «Sono solo canzonette 2025», ispirato all’album del 1980, in cui il cantautore di Bagnoli, propone un’esperienza emozionale con i brani e le melodie che sono entrati a far parte del nostro immaginario collettivo.
«Passo spesso dagli Arcimboldi perché è un teatro perfetto — dice Bennato —: capiente, con un’ottima acustica e con uno stage grande realizzato da un mio professore di quando ero all’università, l’architetto Gregotti, per cui c’è anche una ragione affettiva che mi lega a questo teatro. Lo show sarà ad altissimo contenuto rock&blues in più con il quartetto d’ archi entreremo nel mondo musicale rossiniano con canzonette tipo “In fila per tre” o anche “Dotti medici e sapienti”».
Il titolo del tour è chiaramente ironico, perché i temi trattati sono estremamente attuali, a volte tragici. «Mi chiedo come ha fatto Collodi a distanza di più di 130 anni, a fotografare i personaggi che vediamo ogni sera affollare le cronache dei vari telegiornali — dice il cantautore —. Mangiafuoco tiene strettamente saldi i fili e fa ballare i burattini a suo piacimento, oggi ancora più di ieri, usando armi di distrazione di massa micidiali, mai viste prima e con un’efficacia a livello planetario. Poi ci sono i predicatori di professione: i grilli parlanti. Quelli che ci fanno la morale Abbiamo poi i gatti e le volpi, quelli che fanno leva sulle speranze dei giovani, promettendo vie facili per il successo per fare i loro interessi».
In alcuni dei suoi brani, come «A cosa serve la guerra» o «La fata», metafora della condizione femminile, tratta temi molto forti. «La fata, se guardiamo la cronaca, se la passa malissimo — afferma —, e per me che ho una figlia poco più che adolescente, c’è poco da scherzare. Il rock si nutre dei paradossi, delle schizofrenie che sono intorno a noi e ci riguardano sia a livello collettivo sia individuale. Il mio è un tentativo di scardinare il comune senso del sentire con l’ironia, qualche volta addirittura lo sberleffo, andando in direzione ostinata e contraria».
Milano, dove a 18 anni arrivò per fare l’università, è rimasta nel suo cuore. «Da “emigrante” di lusso, soggiornavo alla casa dello studente di viale Abruzzi, e da lì potevo frequentare sia i corsi di Architettura sia i corridoi delle case discografiche. Milano mi è cara quanto Napoli. Ora è diversa da quella che ho conosciuto io, ma è ancora un posto dove ancora si può tentare di far diventare i progetti realtà».
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20 novembre 2025
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