La bolla è ancora intatta, se di bolla si tratta. L’ultima trimestrale di Nvidia ha restituito infatti un’immagine tutt’altro che fragile del mercato dell’intelligenza artificiale. Nel dibattito che ha preceduto i risultati, molti osservatori si erano chiesti se i massicci investimenti nei data center non stessero preparando il terreno a un rallentamento brusco. Le cifre comunicate dal gruppo americano, invece, registrano una domanda ancora solida e capace di superare le aspettative più ottimistiche.

Il terzo trimestre fiscale si è chiuso con ricavi e utili superiori alle stime degli analisti. Il dato più atteso, quello sulla guida per il periodo successivo, ha comunicato un obiettivo di vendite attorno ai 65 miliardi di dollari, ben oltre i 61,6 miliardi previsti dal mercato.

Il profitto netto è salito del 65% a 31,9 miliardi di dollari, in forte crescita rispetto ai 19,3 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Si tratta di un ritmo difficilmente compatibile con l’idea di una frenata imminente.


La parte preponderante del fatturato continua a provenire dal segmento data center, che ha raggiunto 51,2 miliardi di dollari grazie alla transizione globale verso sistemi di calcolo basati sulle GPU.

All’interno della divisione spiccano i 43 miliardi legati al “compute”, sostenuti dall’avvio commerciale dei chip GB300, mentre la componente networking ha contribuito con 8,2 miliardi. La seconda generazione della famiglia Blackwell, denominata Blackwell Ultra, è già indicata come la più richiesta.

Nel confronto con i principali attori del cloud, emerge un aspetto che ha alimentato i timori degli investitori: la concentrazione della domanda nelle mani dei grandi hyperscaler. Microsoft, Amazon, Meta e Alphabet hanno aumentato i loro piani di spesa per infrastrutture IA e supereranno complessivamente i 380 miliardi di dollari nel 2025.

Una dinamica che ha sollevato dubbi sulla sostenibilità di tali investimenti, ma Jensen Huang ha respinto l’idea di una bolla proprio nel corso della call di commento ai risultati del trimestre, sostenendo che la migrazione dal calcolo basato sulle CPU a quello su GPU è soltanto all’inizio, che l’IA non sarà integrata solo nelle applicazioni attuali ma ne creerà di nuove, e che l’avvento dell’“agentic AI”, capace di operare senza un input continuo dell’utente, richiederà capacità di calcolo ancora maggiori.

Accanto alla narrazione ottimistica, la trimestrale include anche elementi più cauti. L’accordo da 100 miliardi di dollari annunciato con OpenAI non è ancora vincolante.

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Nvidia lo ha ricordato esplicitamente, precisando che non esiste garanzia sulla firma definitiva dei contratti. Sul fronte geopolitico pesa inoltre l’impossibilità di spedire i chip Blackwell verso la Cina, con la GPU H20, specifica per il mercato asiatico, che ha portato soli 50 milioni di dollari nel trimestre.

La fame di memoria: ora a Nvidia fanno gola anche quelle dei telefoni

La corsa sfrenata di Nvidia sta travolgendo tanti elementi della filiera di silicio, tra questi i chip HBM (High Bandwidth Memory) che stanno facendo salire i prezzi di tutto il settore delle memorie. Eppure la fame di Nvidia è tale che, secondo un rapporto di Counterpoint Research, la società sta decidendo di adottare le LPDDR nei sistemi per l’IA, cioè le memorie impiegate nella telefonia, che affiancherebbe alle CPU dei server al posto delle DDR5.

Questo spostamento della domanda sta alterando gli equilibri della catena di fornitura. Secondo la società di analisi, ma anche come detto in parte dal presidente di Xiaomi, la capacità produttiva dedicata ai modelli LPDDR4, destinati ai telefoni più economici, è sotto pressione perché i produttori stanno spostando produzione dalle LPDDR4 alle LPDDR5/LPDDR5X e alle HBM per soddisfare la domanda dell’IA.  

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I prezzi sono quindi destinati a salire ulteriormente nel 2026. L’impatto potrebbe estendersi anche ai segmenti intermedi e premium, aumentando i costi di produzione e riducendo i margini dei produttori mobile.