di
Federico Berni

L’attore è morto a 85 anni a Usmate Velate, dove viveva con il marito Carlo Belgir: «L’ultima sera, prima che lui morisse, siamo andati al cinema insieme. Si divertiva a parlare in brianzolo con il suo accento tedesco»

Lui e Alain Delon? «I più belli di tutti. E non lo dicevo certo io, che l’ho amato in gioventù e con cui sono rimasto comunque legato per oltre 60 anni, ma un mostro sacro del cinema come Luchino Visconti, che lo ha voluto nel cast del suo “La caduta degli Dei”, e che poi lo ha cercato per altri ruoli». Ma quel tedesco di Monaco di Baviera che aveva messo radici Brianza, di grande presenza scenica e di indubbio fascino, cercava altri stimoli, diversi da quelli che poteva dargli il cinema. Nessuno meglio di Carlo Belgir, titolare di uno storico atelier milanese di tessuti, può ricordare Wolfgang Hillinger, per tutti «Wolf il tedesco» che dopo una vita vagabonda e avventurosa aveva scelto negli ultimi decenni come buen retiro una tenuta a Usmate Velate, dove era molto conosciuto e amato dalla comunità locale.

L’ex attore si è spento per malattia a 85 anni. Una ventina di film con parti minori, a volte solo piccole apparizioni. Ma l’innegabile bellezza e la presenza fisica non lo relegavano mai al ruolo di semplice comparsa. Per questo Hillinger ha prestato il volto per autori quali Visconti, Pasolini («Decameron»), Benigni («La vita è bella») e Federico Fellini del «Satyricon» (1969) dove è al centro di uno degli episodi dell’opera. Hillinger è comparso in molte commedie e film degli anni sessanta, compreso il «Diabolik» di Mario Bava.



















































«Ma amava più la vita vera, della finzione del cinema», ricorda ora Belgir. «Insieme ne abbiamo vissute tante. Siamo stati legati sentimentalmente in gioventù, ma anche quando la passione era diminuita siamo sempre rimasti uniti da un legame, di convivenza, di amicizia fraterna. Nel 2017 abbiamo celebrato civilmente la nostra unione, a coronamento di una vita fianco a fianco (il primo matrimonio arcobaleno della Brianza, ndr). L’ultima sera, prima che lui morisse, siamo andati al cinema insieme a vedere un film d’autore cinese. Per noi era sempre così, cinema, teatro, mai fermi».

 I ricordi tornano agli anni Sessanta, quando il cinema italiano produceva capolavori: «Ci eravamo conosciuti durante le riprese di un suo film; entrambi da giovani frequentavamo gli ambienti culturali di Milano, venne nella tenuta della mia famiglia, qui in Brianza, si innamorò subito di questo posto, il giardino lo ha realizzato lui». Viaggiatore, curioso del mondo: «Si perdeva tra giungle, foreste e città; una volta si era unito ad una tribù di berberi ed era rimasto con loro nel deserto, di sé diceva che lui, più che tedesco, era un egiziano mancato». Ma le radici le aveva messe in Brianza: «Lo conoscevano in molti, si divertiva a parlare dialetto, ma con l’accento tedesco, con un sorriso sapeva conquistare le persone».


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21 novembre 2025