Il dubbio è arrivato alla quarta immagine rubata dal set newyorchese del Diavolo veste Prada 2: ma non è che tutte queste foto ci stanno rovinando la sorpresa?

All’inizio quegli scatti erano un po’ come ritrovare vecchi amici: rivedere Andy, Miranda e Nigel in azione dopo anni di attesa regalava un brivido di gioia pop. Era l’anteprima di un ritorno in un mondo che abbiamo amato, un piccolo revival, quella giusta dose di nostalgia. Ora però il feed si è trasformato in una maratona di spoiler: Andy che per la prima volta veste Prada, Nigel sempre schiavo di Miranda, Emily invece che ha rotto le catene ed è nella sua nuova era empowered. Certo, resta che dalle foto non ricaviamo i dialoghi – e per fortuna – ma il rischio che si perda la magia c’è. Se abbiamo già visto tutto prima di andare in sala, che cosa ci resta poi?

Certo, la colpa non è delle immagini in sé, ma del modo compulsivo in cui oggi ci nutriamo di anticipazioni. L’effetto sorpresa, che un tempo era una promessa, oggi è una conquista: bisogna proteggerselo, schermarsi, filtrare, disattivare hashtag e mutare keyword come in una missione segreta.

Non sarà un caso, per esempio, che Paolo Sorrentino non abbia voluto svelare mezza riga della trama del suo nuovo film che porterà alla Mostra di Venezia, La grazia. Tutto si compirà in sala, alla vecchia maniera. Perché forse l’idea di democratizzare la curiosità, di consumare ogni scena a colpi di like e spoiler non sempre fa bene all’hype, come si dice oggi: in certi casi la deprime. E così, si rischia un appiattimento dell’esperienza cinematografica: ogni cosa diventa già nota, già commentata, già decriptata.

Altri invece fanno il contrario, svelando tutto prima ancora del ciak. Ma nella sovraesposizione costante di tutto – dai set alle sceneggiature, passando per il colore dei calzini del protagonista – si perde quella cosa che un tempo si chiamava attesa. E che oggi, invece, si brucia con uno scroll.

Ho un’amica che è così terrorizzata dagli spoiler che non legge neanche le sinossi dei film che va a vedere. È una che è riuscita a sedersi in sala a vedere Oppenheimer senza sapere minimamente quale fosse la storia: record mondiale, probabilmente. Ma forse non ha tutti i torti. Perché parte del fascino di un film sta proprio nel non sapere, nel lasciarsi sorprendere da un gesto, da un’espressione, da un colpo di scena. È lì che nasce il coinvolgimento autentico, quella comune meraviglia di una sala stracolma di sconosciuti diventati complici. Altro che scroll del feed.

E allora, con tutto il bene che vogliamo a Andy, Miranda e a quell’universo stiloso e crudele color ceruleo, forse la mossa più intelligente è chiudere l’app di Instagram.