Lasciando sulla spiaggia un amore locale.
«Ma no, per carità. Portavo al polso i nastrini della Madonna del Bomfin, coi tre nodi che corrispondono ai desideri e iniziano ad avverarsi se il nodo si scioglie. Uno, era trovare l’amore della mia vita».

Nelle favelas della capitale, però, la Madonna era lei.
«Dio, come ti amo scritta da Modugno aveva avuto un successo incredibile e ancor di più il film musicale che ne era stato tratto, proiettato in una sala di Rio de Janeiro per più di dieci anni. Un cult assoluto. Ballavo e cercavo nuova musica: un giorno, mi fecero ascoltare O que serà di Cico Buarque».

Che Fiorella Mannoia ha inciso, tradotta da Ivano Fossati.
«E io ho inciso vent’anni prima insieme a Sergio Bardotti, che non è da meno».

Poi divenne una stella insieme ai Los Panchos, che stanno all’America Latina come gli Eagles stanno agli USA.
«Avevano una sala d’incisione nella cantina di casa, in un quartiere di ville fuori Città del Messico. Una città ai tempi spaventosa e dall’aria irrespirabile. Uscivamo in macchina, mi indicavano un giardinetto e dicevano: “Vedi Gigliola, il nostro vicino è appena morto ammazzato”. Oppure: “Vedi Gigliola, la vicina è stata appena accoltellata per uno screzio di vicinato”. Però la musica, a quei ragazzi, scorreva davvero sotto la loro pelle».

Ma dopo tanto frullare, qui in campagna non si immalinconisce?
«No, perché in montagna o in collina ho passato gran parte della vita: sfrutto ogni ora di luce per fare le mie passeggiate, qualche lavoretto qua e là e partecipare alla vita delle piante. Con una serie infinita di cadute rovinose, e annesse fratture».

Si procura dalla natura anche i medicamenti?
«Per un po’ di tempo ho raccolto erbe e fatto delle zuppe. Poi, un giorno, devo aver sbagliato qualcosa e mi sono avvelenata così gravemente che pensavo di morire. In quel periodo ero in tournée in Francia e tornavo a casa per il weekend: il lunedì successivo, più di là che di qua, mi esibii lo stesso, secondo la regola di mia madre che oltre ad avermi insegnato a giocare a poker mi ha anche insegnato a non lamentarmi mai».

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