Brian Jennings, padre di mezz’età, si ritrova improvvisamente a fare l’uomo di casa dopo l’improvviso licenziamento: ha l’occasione così di prendersi cura di Lucas, il suo figliastro di dieci anni. Impacciato e fuori posto nel mondo della genitorialità contemporanea, cerca di legare con quel ragazzino appassionato di ballo, al punto da preferire la danza al football ed essere vittima, per via della sua passione, di atti di bullismo tra i banchi di scuola.

In Playdate i due si trovano insieme al parco quando Brian incontra casualmente Jeff, papà single carismatico e muscoloso di CJ, un coetaneo di Lucas dall’indole a dir poco superattiva. Quello che avrebbe dovuto essere un innocuo pomeriggio segnato da quella nuova amicizia tra i due nuclei si trasforma in una corsa disperata per la sopravvivenza quando un gruppo di mercenari armati a più non posso cominciano a dare la caccia a Jeff, che nasconde effettivamente qualcosa, con Brian e Lucas che si ritrovano loro malgrado coinvolti in una situazione sempre più paradossale e pericolosa.

Playdate: una comicità datata e gratuita

Difficile contestualizzare nel cinema di oggi, per quanto pensato per il mercato streaming, un titolo come Playdate, che cerca di tornare al politicamente scorretto in maniera fin troppo patinata, colmandosi di citazioni in serie a grandi classici del cinema, rileggendoli in una forma parodistica spesso sbilanciata. E se qualche risata qua e là fa capolino, l’impressione è che si sia trattato più di sporadici colpi di fortuna che di effettiva volontà da parte di una sceneggiatura che procede spedita come un rullo compressore, senza curarsi della coerenza o di approfondire i suoi personaggi, che appaiono minuto dopo minuto come svuotati involucri.

Ci troviamo davanti a un film che oscilla costantemente tra la confusione e l’eccesso, nel suo tentativo di replicare per l’ennesima volta i vari leit-motiv del buddy-movie in chiave comica e farsesca, puntando proprio sulla presunta complementarietà tra i due protagonisti. Ma se sulla carta l’accostamento tra Kevin James e Alan Ritchson poteva sembrare intrigante e foriero di situazioni esilaranti, il risultato è un’operazione fuori tempo massimo, che tira in ballo cospirazioni, guerre dei cloni e quant’altro nel tentativo di sorprendere a tutti i costi con nuovi twist e colpi di scena, scadendo però così facendo nel ridicolo involontario.

Ci vuole un fisico bestiale

E fa impressione come tra i due interpreti colui che risulta più in parte sia Ritchson, in un’interpretazione autoironica dove il suo fisico imponente e massiccio diventa veicolo fumettistico per le scene più esagerate e strampalate; James invece non entra mai nella storia e nel personaggio, lasciandosi scivolare tutto addosso come se fosse in costante attesa della fine delle riprese.

Il discorso sulla genitorialità è ovviamente nullo, con tanto di inserimento forzato della Mafia Mamma, un’improbabile banda di madri (capeggiate dalla combattiva leader di Isla Fisher) che uniscono le forze ritrovandosi ad agire in prima persona e che si sentono chiamate in causa quando ricevono la segnalazione di un potenziale Amber Alert, l’allarme relativo al rapimento di minori. E le emozioni latitano, pur dando atto che il compito dell’operazione non era certo quello di aprire spunti di riflessione o di approcciarsi al sentimentalismo classico.

Ma è proprio nelle sue derive più irriverenti, laddove l’anima dissacrante dovrebbe prendere il sopravvento, che Playdate frana rovinosamente. La scelta di far combattere questi due omaccioni, tra chi sovrappeso e chi invece culturista, contro orde di bambini – e capirete il perché nella rocambolesca resa dei conti finale – risulta infatti gratuita e fine a se stessa, summa di una narrazione che spinge e urla a più non posso su quella verve action, risultante rimaneggiata e depotenziata nella sua carica macchiettistica.

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