È proprio questo contesto di incertezza che rende lo studio di JAMA Oncology particolarmente rilevante. La ricerca analizza oltre 29 mila donne all’interno della Nurses’ Health Study II, una delle più grandi e longeve coorti epidemiologiche degli Stati Uniti. Le partecipanti hanno risposto a questionari alimentari dettagliati dal 1991 al 2015, offrendo una fotografia precisa delle loro abitudini di consumo. In media, un terzo dell’apporto calorico giornaliero proveniva da cibi ultra-processati. E nelle partecipanti più giovani, il legame tra questi alimenti e la comparsa di polipi è apparso evidente.

Cosa sono davvero gli alimenti ultra-processati

Il termine «cibo ultra-processato» (UPF) viene spesso usato nel dibattito pubblico con una certa leggerezza, ma ha una definizione precisa: indica alimenti industriali ricchi di zuccheri aggiunti, sale, grassi raffinati e additivi come coloranti, emulsionanti e conservanti. Si tratta di prodotti pensati per essere pronti o quasi pronti al consumo, molto invitanti e gustosi, ma spesso poveri di fibre e nutrienti essenziali. Bibite dolci, snack e prodotti da forno confezionati, cereali da colazione molto raffinati, cibi pronti, salse industriali: sono prodotti che troviamo ovunque e che finiscono facilmente nella routine alimentare quotidiana.

A differenza del cibo minimamente processato, che mantiene una struttura naturale riconoscibile, gli alimenti ultra-processati subiscono una serie di trasformazioni che ne modificano profondamente la composizione, la digeribilità e, secondo alcuni studiosi, l’effetto sul microbiota intestinale.

Questo, però, non significa che siano «veleni» moderni o che vadano demonizzati a priori. Tuttavia, quando diventano una componente frequente della dieta, specialmente a scapito di alimenti freschi e integrali, possono modificare il modo in cui l’intestino lavora e si rigenera. E proprio questo equilibrio, fragile e profondamente interconnesso con il sistema immunitario, è al centro delle ipotesi dei ricercatori.

Lo studio: che cosa hanno osservato i ricercatori

Gli autori dello studio hanno osservato che la maggiore incidenza di polipi intestinali nelle donne under 50 non può essere spiegata soltanto da fattori genetici o da condizioni preesistenti. Hanno quindi analizzato il consumo quotidiano di alimenti ultra-processati in relazione alla frequenza con cui venivano riscontrati adenomi, i polipi più comuni. Anche correggendo per fattori come peso corporeo, attività fisica, fumo, diabete e qualità generale della dieta, l’associazione tra UPF e polipi restava significativa.

Il dato più rilevante è la differenza tra i consumi più bassi e quelli più alti: tre porzioni al giorno, contro nove-dieci. Significa che non è solo la presenza degli ultra-processati nella dieta a fare la differenza, ma la quantità. E questo coincide perfettamente con un trend alimentare delle ultime generazioni: pasti più veloci, maggiore ricorso a prodotti pronti, riduzione dell’apporto di fibre e un consumo crescente di zuccheri aggiunti e grassi industriali.