di
Roberta Scorranese
Il record precedente era di Georgia O’Keeffe: nel 2014 «Jimson Weed/White Flower No. 1» era stato battuto per 44,4 milioni
Il sogno di Frida Kahlo supera i fiori di Georgia O’Keeffe: all’asta di opere surrealiste che si è tenuta da Sotheby’s a New York, il dipinto «El sueño (La cama)» della pittrice messicana è stato venduto per 54,7 milioni di dollari. Un doppio record: è il quadro di Kahlo più costoso mai battuto in un’asta e, al tempo stesso, il prezzo più alto mai pagato per l’opera di una donna. Fino all’altroieri, quest’ultimo titolo era nelle mani di O’Keeffe, americana dalla vita lunghissima (nata nel 1887 e morta nel 1986) e dalla forte sensibilità moderna, molto vicina alla fotografia. Il suo «Jimson Weed/White Flower No. 1» era stato battuto, sempre da Sotheby’s a New York, per 44,4 milioni di dollari, nel 2014.
Il «sogno» di Frida è tutt’altra cosa. In questo quadro del 1940 lei si rappresenta distesa su un letto sospeso nel cielo, avvolta da rampicanti e sormontata da un enorme scheletro rivestito di dinamite. È uno dei suoi innumerevoli autoritratti dall’abisso del dolore, surrealista ma a modo suo, visto che lei stessa annotò, citando il «padre» del movimento artistico: «Breton pensava che io fossi surrealista, ma non è vero: non ho mai dipinto i sogni, ma solo la mia realtà».
Ed è questo il punto: quelle che oggi a noi sembrano rappresentazioni surreali — un po’ oniriche e un po’ fantastiche — per Kahlo erano invece una perfetta aderenza alla realtà. Rimasta vittima di un gravissimo incidente all’età di diciotto anni, subì più di 30 interventi chirurgici ma il suo corpo — già minato alla nascita dalla spina bifida — rimase comunque compromesso e per tutta la vita soffrirà di forti dolori alle articolazioni.
Dimessa dall’ospedale, la sua pittura nascerà insieme al dolore: costretta a letto, si fece montare uno specchio sul tetto del baldacchino e cominciò a dipingere sé stessa, sofferente e perfettamente consapevole del male alle ossa e ai muscoli. È qui che ha origine la forza vivida di una delle artiste oggi più famose nel mondo (è in tour in Italia una grande opera musical sulla sua vita, per esempio): il volto di Frida Kahlo ispira da anni l’alta moda, lo stile di Madonna (collezionista di alcuni suoi dipinti) e se la modella Cara Delevingne ha fatto delle sue sopracciglia un tratto distintivo, lo si deve anche alla messicana dallo sguardo incorniciato con la matita nera.
Certo, come hanno sottolineato dalla casa d’aste, le recenti mostre sulle donne surrealiste (a Milano, per dire, è in corso quella dedicata a Leonora Carrington) e la Biennale d’arte di Venezia 2022, curata da Cecilia Alemani, hanno contribuito a rivalutare le figure femminili di un movimento dominato perlopiù da uomini. Però Frida Kahlo è diventata un cult: il suo viso è sulle tazze da caffè nelle camerette delle adolescenti, ci sono linee di moda fast-fashion e a poco prezzo che si ispirano ai suoi abiti coloratissimi e quasi punitivi per la loro fattura complessa e pesante.
Perché? Forse perché Frida è stata una delle prime donne a parlare del dolore fisico femminile con enfasi e senza pudore, documentando puntualmente sé stessa in una sorta di catalogo del malessere che tanto assomiglia al racconto di sé oggi alimentato dai social network. Nessuna come lei ha indagato il corpo malato con tanta spudoratezza, verità, dedizione e immedesimazione. Con l’autoritratto, ha raccontato nei minimi dettagli le fitte alla schiena, la sofferenza per un tradimento, l’allontanamento di una persona amata (il due volte marito Diego Rivera, ma non solo), la solitudine, l’isolamento e la lotta politica.
E tutto questo con un grande apparato simbolico: gli ex-voto latino americani, gli abiti e gli accessori tradizionali, i riferimenti alla sua terra, il Messico, una terra dove le cose possono rimanere immobili per secoli. Curioso destino: anche le sue opere rimaste in Messico non possono essere né vendute all’estero né distrutte, perché quel corpo malato è diventato monumento nazionale (il dipinto battuto all’asta proviene da una collezione privata, quella dell’imprenditrice Selma Ertegun). E, come ebbe a dire lei stessa: «Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, finché potrò dipingere».
21 novembre 2025 ( modifica il 21 novembre 2025 | 11:48)
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