“La più grande crisi umanitaria del mondo”. Così ha definito la guerra civile in Sudan l’inviato per l’Africa del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Massad Boulos. Prima di lui era stato già l’Onu a dare l’allarme.

Il conflitto tra i più sanguinosi attualmente in corso sul pianeta tiene banco dall’Aprile del 2023 e vede contrapposti l’esercito regolare sudanese e le Forze di Supporto Rapido (RSF) paramilitari di matrice jihadista. Negli ultimi giorni un’escalation sanguinosa ha scosso il Paese arabo-africano nella regione del Darfur dove è alta la percentuale di non arabi ( per lo più cristiani e animisti) e dove si registra la violenza jihadista più spietata. Sotto gli occhi increduli della comunità internazionale l’ultima roccaforte dell’esercito e capitale del Darfur, Al Fashir, è caduta nelle mani dei paramilitari che imperversano nella regione e in quella del Kordofan.

Omicidi di massa e stupri sono all’ordine del giorno. Le cifre fanno rabbrividire: in quasi due anni e mezzo sono almeno 150 mila di migliaia i morti e quasi 12 milioni gli sfollati. Altissima è la preoccupazione della comunità internazionale già impegnata sulle guerre “più vicine”. 

Nelle scorse settimane immagini e video arrivati dalla zona hanno sconvolto per la loro crudezza. Alla fine di ottobre, il gruppo paramilitare ha preso il controllo dell’area a Ovest del Paese, a conclusione di un aspro assedio durato 18 mesi. Immense e scovolgenti le macchie di sangue sul terreno fotografate dallo spazio. Atrocità definite inaccettabili, che “erano previste e prevenibili”, ma non sono state impedite, ha denunciato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk. Ma l’appello dell’Onu è rimasto per lo più inascoltato. “Tutti coloro che sono coinvolti in questo conflitto dovrebbero sapere: vi stiamo osservando e la giustizia prevarrà”, ha detto Turk.

 

Sudan, El Fasher

Sudan, El Fasher (Ansa)

Oltre ai già bollenti teatri di guerra in Ucraina e alla Striscia di Gaza l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas, al suo arrivo all’ultimo Consiglio degli Affari Esteri ha annunciato “per la prima volta, sanzioni anche ai sudanesi, per fare pressione su coloro che commettono atrocità in Sudan”. Detto fatto: il primo pacchetto Ue è stato adottato contro Abdelrahim Hamdan Dagalo, numero due delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), le milizie guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, ritenute responsabili delle peggiori barbarie che infuriano sul territorio. La Commissione aveva sottoscritto già una dichiarazione congiunta di condanna sottoscritta dalla Spagna, da 16 Paesi occidentali e 9 Paesi europei. 

“Mi occuperò anche di Sudan” parola di Donald Trump di due giorni fa, su richiesta del principe saudita Mohammed bin Salman seduto con lui nello Studio Ovale, mentre in Italia la questione è arrivata sul tavolo dell’ultimo Consiglio Superiore di Difesa che in una nota ha espresso “forte allarme per il perdurare della guerra civile in Sudan, causa di una gravissima crisi umanitaria”.  

Il Consiglio sovrano del Sudan ha ringraziato subito Washington e Riad per “gli sforzi a voler fermare lo spargimento di sangue sudanese” e ha espresso la sua “disponibilità a impegnarsi con loro per raggiungere la pace che il popolo sudanese auspica”, ha detto il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan. Tuttavia il governo allineato con l’esercito, ha indicato che proseguirà la guerra.

Sudan, El Fasher

Sudan, El Fasher (Ansa)

Anche la Corte penale internazionale (Cpi) sta monitorando la situazione. Non vi è dubbio che se questi atti sono confermati, “costituirebbero crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Per quei crimini nel 2019 l’ex presidente Omar Al Bashir fu deposto con un colpo di Stato dal corpo militare. Da allora il Paese africano è ritenuto in balia di una guerra per procura a causa delle sue ingenti risorse naturali e materie prime e secondo alcuni analisti ci sono individui e aziende che alimentano e traggono profitto da questa guerra. 

Già a settembre Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto hanno chiesto congiuntamente una tregua umanitaria seguita da un cessate il fuoco permanente e da una transizione verso un governo civile, ma hanno suggerito che nessuna parte in conflitto dovrebbe essere coinvolta in tale transizione. Tutti sperano in una transizione verso un governo a guida civile. La priorità assoluta in questo momento è riposta nella speranza di una tregua umanitaria.

Il campo Zam Zam in Dafur del Nord, Sudan

Il campo Zam Zam in Dafur del Nord, Sudan (Ansa)

Quando, nel 2003, iniziò la guerra civile nel Darfur, questa aveva mostrato i segni più terribili di cui è capace la mano dell’uomo. Allora furono oltre 300mila i morti in quello che per molti è stata definita una pulizia etnica oltre che un vero e proprio genocidio. 

In massa fuggirono per salvarsi dai figli di Janjaweed i cosìdetti “demoni a cavallo” che alle donne urlavano lo slogan: “I vostri figli saranno arabi!”. 

Secondo quanto riferito da Onu Donne (Un Women), donne in fuga dalla citta’ sudanese di El-Fasher hanno denunciato uccisioni, stupri sistematici e la scomparsa dei loro figli dopo la conquista dell’area da parte delle Forze di supporto rapido (Rsf). In quest’area sarebbero 11 milioni  le donne esposte a ogni tipo di rischio. “La violenza sessuale è diffusa, con prove crescenti che lo stupro venga usato in modo deliberato e sistematico come arma di guerra”, ha dichiarato Onu Donne. “I corpi delle donne diventano scene del crimine in Sudan”.

Rifugiati sudanesi scaricano legna da un'auto nel campo di Oure Cassoni, in Ciad, il 14 novembre 2025

Rifugiati sudanesi scaricano legna da un’auto nel campo di Oure Cassoni, in Ciad, il 14 novembre 2025 (Afp)

Gli operatori umanitari impegnati nella regione del Darfur, grande quanto la Francia, fanno sapere di essere costretti a “scegliere chi salvare e chi no”. Si dà priorità ai bambini, alle donne incinte e alle madri che allattano. Ma non basta. 
Nessuno degli aeroporti è in grado di ricevere aiuti, le strade sono impraticabili e l’unico punto di accesso alla regione passa dal vicino Ciad, ma è pieno di “ostacoli amministrativi”. Si tratta dell’intero approvvigionamento per circa 11 milioni di abitanti, descritta come “situazione di anarchia”, nel collasso totale delle strutture governative, del banditismo dilagante e delle minacce alla sicurezza sulle strade.

 

Jabal al Ahmar, Sudan

Jabal al Ahmar, Sudan (Google Maps)

Da settimane le Forze di supporto rapido (Rsf) hanno in ostaggio migliaia di civili stringendoli in una morsa del terrore intollerabile. La città di Al Fashir è divenuta una prigione a cielo aperto per almeno 200mila civili. Tra loro anche la ministra della Sanita’ dello Stato sudanese del Darfur settentrionale, Khadija Musa, insieme a circa 25 membri del personale sanitario, liberata poi in seguito. La sua liberazione sarebbe avvenuta dopo l’impegno del personale medico a contribuire alla gestione della grave crisi sanitaria.
Il gruppo ha arrestato tre membri del governo statale e ucciso Abbas Adam, commissario per gli aiuti umanitari, insieme a vari familiari durante il loro tentativo di fuga dalla citta’.
Le Rsf continuano invece a trattenere il ministro della Gioventu’ e dello sport, Mohamed Suleiman Gibril, esponente del Movimento di liberazione del Sudan guidato da Minni Arko Minnawi, e il ministro dell’Ambiente, Al-Tayeb Baraka, membro del Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem) vicino a Gibril Ibrahim. Entrambi sono stati trasferiti a Nyala, nello Stato del Darfur meridionale.

Il campo di El Fasher in Sudan

Il campo di El Fasher in Sudan (AFP)

Msf “Si muore andando a fare la spesa”

Secondo Medicine sans Frontiere, quello che succede a El Fasher è solo un aspetto di quello che abbiamo visto negli ultimi due anni e mezzo, ossia che la guerra in Sudan resta una guerra contro le persone”.

Testimonianze raccolte tra i profughi descrivono civili colpiti per strada e attacchi condotti con droni. “La situazione in Nord Darfur”, nella capitale “El Fasher, è drammatica, perché è il frutto di più di un anno di assedio, quindi una tattica di guerra che è una violazione in sé del diritto internazionale umanitario, ma soprattutto” una tattica “che ha avuto ed ha un impatto devastante sulla popolazione. 
“Una guerra contro le persone perché dal primo giorno, dal 14 aprile del 2023, quando la guerra è scoppiata a Khartoum – ha spiegato Msf – non sono stati risparmiati la popolazione civile e le infrastrutture civili. Tutte le infrastrutture urbane, quella idriche per esempio, non sono state risparmiate”. 
 
 

 

Il campo di El Fasher in Sudan

Il campo di El Fasher in Sudan (AFP)

Il campo di El Fasher in Sudan

Il campo di El Fasher in Sudan (AFP)