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Tra gli obiettivi politici più importanti della COP30 in corso a Belém c’è la definizione di una tabella di marcia per la graduale eliminazione dei combustibili fossili: è un obiettivo sostenuto da decine di paesi, soprattutto in Europa, Africa e America Latina, e alcuni stati hanno minacciato di bloccare il documento conclusivo della conferenza se non dovesse includerla. Allo stesso tempo, un gruppo influente di stati che producono o dipendono dal petrolio e dal gas naturale sta facendo un’opposizione molto serrata.

La COP30 si chiuderà nei prossimi giorni, ufficialmente venerdì, ma le trattative verranno probabilmente allungate al fine settimana.

Le risoluzioni approvate alle COP non sono vincolanti. Tuttavia queste conferenze sono considerate l’occasione più importante per concordare una strategia quanto più possibile globale per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015: contenere l’aumento delle temperature sotto gli 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, e non superare i 2 gradi (obiettivo che, per la maggior parte degli scienziati, è attualmente lontano dall’essere raggiunto). La comunità scientifica è ampiamente concorde sul fatto che il modo migliore per farlo sia eliminare i combustibili fossili, che sono la causa principale delle emissioni inquinanti e del riscaldamento globale.

Due anni fa, alla COP28 di Dubai, i rappresentanti dei circa 200 paesi presenti concordarono sulla necessità di eliminare i combustibili fossili e raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Fu considerato un risultato storico per due ragioni: perché molti paesi dipendenti dal petrolio e dal gas naturale si opponevano anche solo alla menzione dei combustibili fossili nell’accordo, e perché la COP28 si tenne in uno dei più influenti stati produttori di petrolio, gli Emirati Arabi Uniti. Quello che però la risoluzione non fece fu stabilire come sarebbe dovuta avvenire la transizione dai fossili alle rinnovabili, e in quali tempi. Da questo punto di vista la COP29 dell’anno scorso a Baku, in Azerbaijan (altro paese produttore) fu un fallimento, e ora se ne sta riparlando a Belém.

L’ingresso della sala plenaria di Belem, 20 novembre 2025 (AP Photo/Fernando Llano)

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Finora il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula Da Silva aveva appoggiato l’idea di includere la questione nella risoluzione finale della COP30, anche perché ha investito molto del suo capitale politico nella riuscita di questa conferenza. Attivisti per il clima, associazioni di cittadini e scienziati hanno dichiarato che la non inclusione della tabella di marcia sarebbe considerata un fallimento per la COP di Belém.

Allo stesso tempo, secondo alcuni giornali, la delegazione che rappresenta il Brasile avrebbe deciso di eliminarla su pressione di alcuni stati (le delegazioni dei singoli stati sono fatte di politici ma anche di rappresentanti delle associazioni di categoria, attivisti e altre persone che ciascuno stato chiede di portare con sé, inclusi lobbisti dei combustibili fossili). L’ultima bozza disponibile non cita la necessità di eliminare i combustibili fossili, a differenza di quelle precedenti.

Circa 30 paesi hanno scritto una lettera al Brasile minacciando di non appoggiare la risoluzione finale se non menzionerà la tabella di marcia: vari stati membri dell’Unione Europea, tra cui Francia, Spagna e Germania; alcuni piccoli paesi del Pacifico, tra i più vulnerabili al cambiamento climatico; paesi africani come Kenya e Nigeria, e altri dell’America Latina, tra cui la Colombia. A questi si aggiungono altri paesi che non hanno firmato la lettera ma hanno detto di appoggiare la decarbonizzazione graduale.

Come prevedibile si oppongono i produttori di petrolio e i paesi che ne sono molto dipendenti, tra cui la Russia e l’India. L’Unione Europea, che è rappresentata alla COP al pari di uno stato, non ha preso una posizione ufficiale e per il momento nemmeno l’Italia. Lunedì il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Frattin aveva detto che prima di aderire alla tabella di marcia il governo avrebbe voluto vedere «cosa c’è dentro». Il governo degli Stati Uniti non è presente per decisione del presidente Donald Trump.

Luiz Inácio Lula Da Silva alla COP30, 19 novembre 2025 (AP Photo/Andre Penner)

Le decisioni alle COP vengono adottate sulla base del “consenso”: un termine ambiguo, che indica la necessità di trovare un accordo tra tutti gli stati ma non vuol dire unanimità e non stabilisce nemmeno una soglia di maggioranza chiara necessaria per adottare qualche decisione. Per raggiungere un accordo è quindi necessario trovare un compromesso tra quasi 200 paesi e istituzioni con livelli di sviluppo, economie e interessi molto diversi: è complicato.

Se alla fine la tabella di marcia dovesse essere inclusa, non sarebbe comunque l’ultimo passaggio: quello di cui si discute in queste ore è se inserire la menzione a una tabella di marcia per l’eliminazione dei combustibili, non la tabella di marcia in sé (cioè non l’eventuale contenuto con tutte le azioni da compiere, passo dopo passo). Se dovesse essere approvata, verrebbe istituito un forum di discussione in cui i paesi si riunirebbero nei prossimi anni per delineare un piano per punti, magari alla COP31 o alla COP32, cioè le prossime conferenze sul clima.

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