L’ex centravanti di Udinese, Roma, Parma e Fiorentina oggi fa l’allenatore: “Dopo l’esperienza in Argentina ora sono pronto per l’Europa. Un amico nel calcio? Aldair”


Francesco Velluzzi

Giornalista

22 novembre 2025 (modifica alle 06:04) – MILANO

“Balbo, Abel Balbo, Abel Balbo, Abel Balbo, Balbo”. Gli cantavano così. Sulle note di No Limit degli U2. Perché Abel Balbo, 60 anni a giugno, con la maglia della Roma ha fatto innamorare i tifosi. E ha scelto la Capitale come base. Sua e di Lucilla, la moglie. “Stiamo insieme da quando siamo ragazzini, stesso paesino argentino, Empalme Villa Constitucion, a 46 km da Rosario, lei la figlia del medico, io un adolescente pieno di sogni”. Realizzati. Balbo ha giocato tre Mondiali con l’Argentina, ha vinto col club del cuore, il Newell’s, con la Roma, col Parma, ha vestito le maglie di River e Boca, segnando valanghe di gol. “Ma la mia fortuna è stata Udine, l’Udinese. Ci arrivai a 23 anni, ero già affermato in Argentina. Mi misero a fare il centravanti. Io che nel mio paese segnavo, ma facendo il trequartista dietro due punte. Io e Lucilla eravamo giovani, a Udine abbiamo ricevuto tanta umanità, il nostro primo figlio è nato lì. Sono rimasti tanti amici”. E il suo club che da poco lo ha accolto in festa come fosse ancora uno di loro. 

A Udine è stato capocannoniere in B con 22 gol, ma li ha segnati pure in A. Guadagnandosi la Roma. Anche se doveva essere ceduto all’Inter. Ma a Milano ci fu un intoppo. Ricorda? 

“Eccome. Ernesto Pellegrini mi invita a cena a casa sua. Serata bellissima. Siamo d’accordo su tutto. Prima di andar via mi chiede di fargli un autografo per la moglie che li collezionava. Firmo, ma scrivo malissimo. Alla moglie quella firma non piace. Salta tutto per questo. E mi prende la Roma”. 

La sua fortuna. Trova Carletto Mazzone. E diventa ‘El Killer’. 

“A Roma mettono sempre i soprannomi. Mazzone? Straordinario, Unico. Un padre. Saggio, umano, generoso. Ci siamo divertiti. Era un periodaccio, perdevamo, facevo fatica a fare gol. Un giorno mi dice ‘A bello, te devi dà ‘na svegliata’. E me la sono data”. 

Con Zeman andò peggio. Ma è vero che gli diede del laziale quando la sostituì? 

“Questa è leggenda. Semplicemente lo mandai a quel paese. Ero capitano. Non volevo mandarlo via. Anzi suggerii al presidente Sensi di rinnovargli il contratto. Lo fece. Quando lo incontrai da avversario con la maglia del Parma sorridemmo e mi disse ‘perché sei andato via?’. Perché vinco, gli risposi”. 

Scudetto a Roma, coppa Uefa a Parma. A cosa tiene di più? 

“Alle vittorie. Tutto quello che vinci è stupendo. Vincere è emozionante, anche lo scudetto con il Newell’s. A Roma l’anno dello scudetto del 2001 giocai poco, ma fu bellissimo. Grandi compagni. Beppe Giannini era un calciatore di alto livello”. 

Ha giocato pure con un giovanissimo Francesco Totti. 

“L’ho cresciuto. Era in Primavera. Stupiva perché imparava subito. Come i campioni. Che le cose difficili le fanno facili”.

Ha giocato pure con Diego Maradona. 

“Il migliore in assoluto. È stato idolo, poi compagno, poi amico. Sensibile, mai una critica, aiutava tutti, anche sui contratti. Il dispiacere enorme è stato vederlo morire così. Triste. Giovane. Purtroppo non siamo riusciti ad aiutarlo neppure noi”. 

La Nazionale argentina era una squadra di stelle. 

“Pensi che non giocavo mai centravanti… Ho fatto pure il centrocampista a tre con Simeone e Redondo. Davanti Batistuta e Caniggia erano di un’altra categoria. Oggi vai in Nazionale con tre partite buone. Guardate l’Italia. Allora la concorrenza era spietata”. 

Oggi lei fa l’allenatore e non è stato tenero col calcio italiano. 

“Ha perso qualità. La Premier lo ha superato. Tra i calciatori c’è la corsa ad andare al Real Madrid, al Barcellona, al Psg, al Bayern. Le big sono quelle”. 

Ha cominciato la carriera da tecnico al Treviso sostituendo Luca Gotti nel 2009, ora l’ha ripresa in Argentina. 

“Pensi che con Luca facemmo il corso allenatori insieme. E poi ne presi il posto. Lo stimo tanto. Dopo Treviso e Arezzo scelsi di stare vicino alla famiglia, di veder crescere i miei tre figli. Senza trascurare l’amato pallone. Il campo è sempre stato tutto. Ma sono pure fiero dei figli che studiavano negli Stati Uniti. Oggi uno lavora in Germania, l’altro fa il pilota. La ragazza non fa più la pattinatrice sul ghiaccio, ma è al quarto anno di medicina a Roma. Ora che sono diventati grandi ho potuto ricominciare e riprendere la mia passione. Grazie anche a Lucilla che è una moglie e una mamma straordinaria. Mi viene quasi da sorridere quando penso da quando stiamo insieme. Ormai vedo solo coppie che si separano. Per allenare sono tornato in Argentina e ho salvato due volte l’Estudiantes La Plata che ha venduto bene i suoi giocatori, tanti attaccanti. Poi ho allenato il Central Córdoba”. 

Ha allenato anche Pellegrino l’attaccante del Parma. 

“Bravo. Lì era chiuso. L’ho avuto all’Estudiantes. Vede la porta, è intelligente, forte di testa, veloce. Ha fisico e un bel calcio”. 

Lei, Balbo, che calcio gioca? 

“Offensivo. Gioco sempre per fare gol. All’Estudiantes mettevo anche sette giocatori offensivi i campo. Ma senza mai trascurare la fase difensiva che viene prima di tutto. Facevo un 4-1-3-2. Abbiamo segnato 25 gol, subendone 3”. 

“Prontissimo. L’esperienza in Argentina è servita. E ora penso di poter dare in una prima squadra europea”. 

Ha ancora amici nel calcio? 

“Lo sa che quello più caro è brasiliano e non argentino? È Aldair. Che fa la spola tra Roma e il Brasile per occuparsi di questioni di calcio che ama. Ma non ha ancora imparato a parlare bene l’italiano e deve decidere cosa fare da grande. Naturalmente posso permettermi di scherzare: siamo veramente amici”.