di
Giuliana Ferraino

I due banchieri centrali spiegano i motivi per cui hanno votato in disaccordo con Powell chiedendo un taglio dei tassi già a luglio. «Economia debole, dobbiamo agire subito, prima che il mercato del lavoro peggiori»

«Dobbiamo tagliare i tassi adesso, non aspettare che il mercato del lavoro si deteriori». «Serve un aggiustamento proattivo, prima che la crescita rallenti ancora». Sono le voci fuori dal coro di due governatori della Federal Reserve – Christopher Waller e Michelle Bowman – che, con due dichiarazioni separate ma pubblicate lo stesso giorno, il 1° agosto, rompono l’unità del Comitato di politica monetaria (Fomc) e motivano il loro voto contrario alla decisione della Fed di mantenere i tassi invariati al 4,25-4,5% nella riunione del 30 luglio. Entrambi chiedono un taglio immediato di 25 punti base, in netta contrapposizione alla linea attendista del presidente Jerome Powell. 

In un momento in cui l’indipendenza della banca centrale americana è sotto pressione – anche per le critiche sempre più dure del presidente Donald Trump – il doppio dissenso suona come un segnale politico e istituzionale. Se da mesi Trump accusa Powell di essere «in ritardo» e invoca un allentamento monetario, ora trova in Waller e Bowman due voci ufficiali che sembrano dargli ragione.



















































I tre motivi di Waller

Il dissenso di Waller si basa su tre motivi principali. Primo: l’effetto dei dazi imposti dagli Stati Uniti – in un contesto segnato dalla guerra commerciale voluta dal presidente Donald Trump – è temporaneo. «I dazi sono aumenti una tantum del livello dei prezzi e non causano inflazione persistente», afferma il governatore. «Secondo la prassi standard delle banche centrali, si dovrebbe “guardare oltre” questi effetti, finché le aspettative di inflazione restano ancorate – e al momento lo sono».

Secondo: i dati macroeconomici mostrano che la politica monetaria non dovrebbe più essere restrittiva. «La crescita reale del Pil è stata dell’1,2% nel primo semestre del 2025 e si prevede che rimarrà debole nel resto dell’anno – ben al di sotto della stima di lungo periodo dei membri del Fomc. Il tasso di disoccupazione è al 4,1% ( l’1 agosto il Bureau of Labour Statistics ha corretto il dato al 4,2%, ndr), vicino alla nostra stima di equilibrio, e l’inflazione totale è solo leggermente superiore al 2%, se escludiamo gli effetti dei dazi che ritengo temporanei». E aggiunge: «Questi dati indicano che il tasso di interesse dovrebbe trovarsi intorno al livello neutrale, che il Fomc stima al 3%, e non 1,25–1,50 punti percentuali sopra tale livello, come è oggi».

Il terzo motivo è il deterioramento del mercato del lavoro. Waller segnala che, tenendo conto delle revisioni previste, la crescita dell’occupazione nel settore privato è quasi ferma e che i rischi per l’occupazione sono in aumento. «Non dovremmo aspettare che il mercato del lavoro si deteriori prima di intervenire», osserva. «Quando il mercato del lavoro gira, spesso lo fa in modo rapido. Aspettare potrebbe ritardare troppo l’allineamento della politica monetaria alla situazione reale». 

’allarme di Bowman sull’occupazione

Anche Michelle Bowman ha motivato il suo voto contrario con una dichiarazione pubblica diffusa nelle stesse ore. La sua analisi coincide per molti aspetti con quella di Waller, pur da una prospettiva più attenta alla fragilità della domanda e alla struttura occupazionale.

«L’inflazione, al netto dei dazi, si è avvicinata al nostro obiettivo del 2%», afferma Bowman, sottolineando i progressi sul fronte dei prezzi core PCE, in particolare nei servizi. «Nel frattempo, la dinamica dell’occupazione si è indebolita», con l’employment-to-population ratio in calo e nuove assunzioni concentrate in pochi settori non ciclici, come sanità e servizi sociali. «Il mercato del lavoro appare meno dinamico», avverte. Le imprese hanno finora trattenuto i lavoratori, ma potrebbero doverli licenziare se la domanda non migliora: «Agire ora, in modo graduale, aiuta a evitare correzioni più drammatiche in futuro».

Come Waller, anche Bowman guarda oltre gli effetti dei dazi: «Sono aumenti una tantum, non inflazione persistente». E richiama il mandato duale della Fed: «Con meno rischi sull’inflazione, è tempo di concentrarsi di più sulla piena occupazione».

Powell sotto attacco

Il doppio dissenso arriva in un momento di forte pressione sulla banca centrale. Da mesi il presidente Trump attacca duramente il presidente della Fed, accusandolo di essere un «idiota» e sempre «in ritardo» sul taglio dei tassi. Ha perfino minacciato più di una volta di licenziarlo, salvo fare marcia indietro per timore di destabilizzare i mercati. Per la Casa Bianca, il taglio dei tassi è un obiettivo politico ed economico in vista delle elezioni del mid-term nel 2026.

Secondo Powell, però, la strategia protezionistica della Casa Bianca, con una  ondata di dazi su prodotti cinesi, europei e degli altri Paesi del mondo, ha infatti alimentato una fase di incertezza globale. Finora la Fed ha mantenuto una linea prudente. Ma l’unità interna è finita

Waller non chiede un taglio aggressivo: «Non penso che il Fomc debba intraprendere un percorso predeterminato. Possiamo tagliare adesso e osservare l’evoluzione dei dati». Bowman concorda: «Meglio iniziare gradualmente ora, per non dover agire con forza più avanti»

Per ora, la maggioranza del Comitato resta con Powell. Ma la frattura è visibile. Alla Fed – la banca centrale più potente del mondo – il dibattito è davvero cominciato. 

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1 agosto 2025 ( modifica il 1 agosto 2025 | 15:55)