di
Aldo Tani
L’ex cassiere lavorava alla Pam di Siena dal 2012, gli mancavano 5 anni alla pensione: «Ora c’è ansia e preoccupazione per il futuro, per le spese. Però ho cercato di non lasciarmi andare»
Il mondo gli è crollato senza che lui avesse il tempo di accorgersene. Licenziato in tronco da Pam per aver fallito il “test del carrello” nel punto vendita di Porta Siena. Con l’azienda che per altro non intende tornare indietro sul suo allontanamento, così come su quelli degli altri lavoratori coinvolti nella stessa pratica tra Livorno e Roma. Beffa nella beffa per Fabio Giomi, 62enne di Poggibonsi, costretto a convivere con le paure del momento e con un clamore mediatico inaspettato.
Fabio come si sente dopo la mancata retromarcia da parte di Pam?
«Fino all’ultimo ho sperato che potessero cambiare idea e che si potesse aprire uno spazio di riconciliazione. Quindi la delusione è grande ma in un certo senso c’era da aspettarselo».
Da quando tempo lavorava in azienda?
«Dal 2012. Prima era interinale come addetto agli scaffali. Poi poco dopo sono stato assunto e spostato alle casse».
I sindacati raccontano di un ambiente di lavoro difficile, con frequenti richiami e sanzioni. È sempre stato così?
«Le cose sono peggiorate da circa un anno. Specialmente nei confronti dei cassieri. I controlli si sono inaspriti e le contestazioni erano all’ordine del giorno».
C’è un motivo scatenante dietro a tutto ciò?
«Direi di no. È stato un modus operandi progressivo, sfociato in ciò che è accaduto pochi giorni fa».
Lei ha fatto riferimento ai cassieri, ma è emerso che anche merce esposta male o fuori posto poteva generare provvedimenti.
«Si, è il clima generale che è cambiato. Il benessere e la salute dei lavoratori non ne guadagnano».
Per le sigle sindacali però le “punizioni” non sono causali, ma riguardano figure bene precise. È così?
«Ci può stare, considerando che le persone colpite sono vicine alla pensione e magari hanno stipendi più alti per gli scatti di anzianità. L’azienda non si è esposta in merito, quindi si può pensare tutto».
Tra i lavoratori il clima interno come è?
«C’è un discreto affiatamento».
Ha ricevuto solidarietà da parte dei suoi ex colleghi?
«Da qualcuno sì, mentre altri non mi hanno cercato».
La causa del suo licenziamento viene ravvisata nel “test del carrello” fallito. Siete addestrati per queste prove?
«No, io non ho mai avuto contezza che si potessero fare questi test. Anzi, non ne ha avevo mai sentito parlare».
Eppure uno lo aveva superato.
«Si, era accaduto qualche mese prima. Però non era complicato come quello che mi hanno fatto, con gli articoli nascosti dentro le casse della birra».
Quando è accaduto l’episodio incriminato?
«Tra fine settembre e l’inizio di ottobre»
Gli hanno contestato subito l’errore?
«Si, hanno rotto le scatole di birra e dentro erano nascosti rossetti, matite per gli occhi, per le labbra, lacci pe capelli. Tutte cose molto piccole».
Poi cosa è successo?
«Il 13 ottobre è arrivata la contestazione e il 28 la lettera di licenziamento».
Dei test non ne era a conoscenza, ma vi hanno mai chiesto di svolgere controlli come forze dell’ordine?
«Ci hanno fatto vedere un video a scopo formativo. Noi siamo cassieri, non responsabili dell’antitaccheggio. Davanti al supermercato per altro c’è un servizio di vigilanza».
Come sta vivendo le sue giornate?
«È un periodo difficile. In un primo momento è stato drammatico e l’ho accusato. Non mi sembrava vero quello che mi era successo. Poi ho dovuto parlarne con la mia famiglia. Ora c’è ansia e preoccupazione per il futuro, per le spese. Però ho cercato di non lasciarmi andare».
Quanto le manca alla pensione?
«Le regole cambiano di continuo ma dovrebbero essere cinque anni».
Dopo il suo caso, ne sono venuti fuori tanti altri. E’ stupito?
«Si, perché credevo che la mia vicenda fosse isolata».
Ha qualcosa da dire a Pam?
«Dopo l’intransigenza mostrata dall’azienda, credo che lascerò parlare l’avvocato».
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22 novembre 2025
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