Da anni circola la convinzione che la gravidanza e l’allattamento possano sottrarre anni di vita alle madri, un tema che la scienza ha affrontato più volte senza trovare un consenso definitivo. Gli studi più recenti hanno dimostrato che la gravidanza accelera l’invecchiamento cellulare, ma si tratta di un effetto reversibile, mentre le ricerche sulla longevità delle madri hanno spesso dato risultati contraddittori. Un nuovo lavoro pubblicato su Science Advances, basato sull’analisi di 4.500 donne finlandesi vissute nell’arco di 250 anni, offre però un quadro più chiaro: non sono i figli a ridurre la vita delle madri, ma le condizioni in cui quelle madri vivono.
Quando non c’è abbastanza cibo: come carestia, gravidanza e allattamento modificano il destino biologico delle madri
Il punto centrale emerso dai dati è che il rapporto tra riproduzione e aspettativa di vita non è universale, ma dipende dal contesto. Le ricercatrici e i ricercatori hanno confrontato le vite delle donne vissute prima, durante e dopo la grande carestia finlandese del 1866-1868, un evento drammatico che provocò la morte di 270.000 persone, circa l’8% della popolazione dell’epoca. È proprio in questi anni di estrema povertà alimentare che il legame tra figli e riduzione della longevitá è emerso con forza: le madri che ebbero figli durante la carestia vivevano in media sei mesi in meno per ogni nascita.
Il motivo biologico è diretto e intuitivo. La gravidanza e l’allattamento richiedono un enorme dispendio energetico, e quando l’alimentazione è insufficiente l’organismo deve comunque trovare il modo di sostenere il feto prima e il neonato poi. La madre, di conseguenza, sacrifica parte del proprio metabolismo basale, la quantità minima di energia necessaria per mantenere le funzioni vitali. In altre parole, se le calorie non bastano per tutti, il corpo della madre deve “spostare” energia vitale verso la gestazione e la produzione di latte, sottraendola a funzioni essenziali. Questo compromette i processi fisiologici, accresce lo stress cellulare e, nel lungo periodo, può ridurre l’aspettativa di vita.
Lo studio mostra chiaramente che questo effetto non si osserva nelle madri che vissero in condizioni alimentari normali, né prima né dopo la carestia. Il fatto che la riduzione della longevità emerga solo in contesti di malnutrizione dimostra che non sono i figli in sé a “consumare” la vita delle madri, ma il costo energetico della riproduzione quando il cibo non basta. Un’interpretazione che, oltre a essere coerente con la fisiologia, spiega anche perché le ricerche precedenti presentavano risultati così diversi: erano state condotte in epoche, società e condizioni nutrizionali molto differenti tra loro.

Cosa significa oggi: perché nei Paesi ricchi i figli non accorciano la vita delle madri (e anzi il divario con gli uomini aumenta)
Applicare questi dati al presente significa riconoscere che, nelle società occidentali contemporanee, la maternità non riduce l’aspettativa di vita, a meno di condizioni estreme come guerre, povertà severa o malnutrizione cronica. In un contesto in cui la disponibilità di cibo è stabile e il numero medio di figli per donna è basso, il “costo riproduttivo” è molto più contenuto rispetto al passato. La fisiologia resta la stessa, ma l’ambiente cambia tutto. Per questo motivo le donne che oggi hanno uno, due o tre figli non vivono meno, e gli studi confermano che eventuali accelerazioni dell’invecchiamento dovute alla gravidanza vengono riassorbite nei mesi successivi.
L’analisi degli studiosi suggerisce anche un’altra implicazione interessante: la forte riduzione del costo energetico della maternità potrebbe contribuire al divario di longevità tra uomini e donne. Le donne vivono in media più a lungo degli uomini, e se in passato la riproduzione rappresentava un rischio significativo per la vita femminile — specialmente in società con molte nascite e scarse risorse — oggi questo effetto è quasi scomparso. A questo si aggiungono fattori ben documentati: gli uomini hanno storicamente una maggiore propensione al fumo, all’alcol e a comportamenti più rischiosi per la salute. Il risultato è che, nei Paesi sviluppati, le donne superano gli uomini in termini di aspettativa di vita in modo sempre più netto.
Un altro dato emerso dallo studio riguarda le famiglie molto numerose: un numero molto elevato di figli, superiore ai cinque, può ancora influire negativamente sulla longevità della madre, ma si tratta di un fenomeno sempre più raro nella maggior parte delle società occidentali. Il quadro generale è quindi chiaro: la longevità delle madri è profondamente legata al contesto, non necessariamente al numero di figli. La maternità, se sostenuta da un adeguato apporto nutrizionale e da un contesto sanitario stabile, non accorcia la vita e può convivere con una qualità dell’esistenza alta e duratura. È un ribaltamento importante rispetto a ciò che si è creduto per secoli, e dimostra come l’interazione tra biologia e ambiente continui a modellare il destino delle generazioni.