Ci sono giochi che, al momento dell’uscita, vengono travolti da un giudizio affrettato, schiacciati da un contesto che non gli rende giustizia oppure semplicemente fraintesi.

Opere che, tra limiti tecnici e scelte controcorrente, finiscono sotto la soglia simbolica del 70 su Metacritic, quasi fosse una condanna definitiva. Eppure, col tempo, alcuni di questi titoli hanno dimostrato di possedere una personalità più forte delle loro mancanze, una volontà di distinguersi che merita di essere riconosciuta.

Il problema, quando si recensiscono videogiochi, non è mai solo il voto. È la capacità di leggere l’opera nel suo contesto, coglierne le intuizioni e comprenderne l’ambizione, anche quando inciampa.

Una missione tutt’altro che semplice, perché l’industria non aspetta e spesso pretende che ogni titolo sia immediato, rifinito e perfettamente allineato alle mode correnti. Chi devia dal percorso viene punito. Salvo poi essere celebrato, anni dopo, come un visionario incompreso.

Quella che segue non è una lista di giochi “migliori di quanto sembrino”. È una panoramica su opere che, pur avendo ricevuto un’accoglienza controversa, custodiscono ancora oggi qualcosa di speciale.

Un’idea forte, un’identità riconoscibile o semplicemente il coraggio di essere imperfette.

Riflettere oggi sulla vecchia gloria di Armored Core fa quasi sorridere, considerando quanto FromSoftware sia cambiata e quanto il suo nome evochi ben altre imprese. Eppure, prima dell’ascesa dei soulslike, era questa la serie che definiva il DNA dello studio giapponese: ostinata, tecnica, rigorosamente di nicchia. For Answer rappresenta uno dei momenti più alti di quella visione. Combattimenti fluidi, mobilità sorprendente e una scala delle missioni che ancora oggi impone rispetto.

È il classico esempio di gioco incapace di convincere la critica al primo colpo ma destinato, col tempo, a essere riconosciuto per ciò che è: un capitolo fondamentale nella storia del mecha gaming.

Un RPG di spionaggio firmato Obsidian, irrimediabilmente afflitto da bug e animazioni claudicanti ma dotato di una libertà decisionale che pochi giochi moderni possono vantare. Alpha Protocol è una di quelle opere che pagano il prezzo dell’ambizione: goffo nella forma, sorprendente nella sostanza. Il suo sistema di scelte e conseguenze resta, ancora oggi, un benchmark mancato per il genere.

Non è un titolo elegante né rifinito, ma possiede una forza narrativa rara. L’ennesima prova che, a volte, un gioco imperfetto può essere molto più interessante di uno impeccabile.

Deriso, ridicolizzato, trasformato in meme a causa della sua ossessione per il concetto di “Caos”. Ma basta superare la sua facciata volutamente sopra le righe per accorgersi che l’esperimento di Team Ninja funziona. Il combat system è energico e stratificato, la reinterpretazione del job system appare convincente e la follia narrativa, più che un difetto, diventa una scelta stilistica consapevole.

È un gioco eccessivo, grezzo, ma proprio per questo autentico. Merita più rispetto di quanto abbia ottenuto.

Scorn è un titolo che privilegia l’atmosfera alla giocabilità tradizionale. Un viaggio ossessivo e disturbante ispirato alle visioni biomeccaniche di Giger, fatto di enigmi intelligenti e silenzi pesanti. Il combat system non brilla, la ripetitività dei corridoi a volte pesa, ma il risultato complessivo è un’esperienza estetica che non assomiglia a nulla di contemporaneo.

Non è per tutti, e non vuole esserlo. Ma chi vi entra senza pregiudizi difficilmente lo dimentica.

Una raccolta che ha il torto di non contenere ciò che molti si aspettavano: niente picchiaduro storici, niente Metal Slug. Tuttavia, ciò che offre è un campionario prezioso di titoli dimenticati, tra cui spiccano Baseball Stars Color, SNK vs Capcom Card Battle e il sorprendente Biomotor Unitron. Un’antologia eccentrica e per veri curiosi, penalizzata dall’assenza dei nomi più altisonanti ma ricca di gemme inattese.

Un gioco punito dalla solita accusa: controlli “rigidi”, struttura “antiquata”. Difetti o, piuttosto, caratteristiche incarnate con coerenza dalla filosofia dei primi Castlevania. Questa riedizione dell’X68000 porta con sé un fascino inalterato e una modalità “arranged” capace di aggiornare quanto basta senza snaturare l’esperienza.

Per chi ama la serie, è un titolo imprescindibile. Per chi la fraintende, resta un bersaglio facile.

Un platform atipico, colorato e quasi disarmante nella sua semplicità apparente. L’idea di muoversi come un serpente, cozzando contro decenni di automatismi da videogiocatore, è brillante quanto respingente. La curva di apprendimento è ripida, la telecamera incostante, ma la creatività dell’impianto ludico è fuori discussione.

Un’esperienza deliziosa per chi sa accoglierla alle sue condizioni.

Quanto può portarti lontano una scrittura di qualità? Quanto può contare un mondo ben costruito o dei personaggi che rimangono con te a lungo? Nier ha provato a rispondere a queste domande. Certo, il combattimento è goffo, la grafica era datata già al lancio, eppure il gioco possiede qualcosa di più potente di un semplice engine o di poligoni: possiede un’anima.

Nonostante la critica iniziale non sia stata indulgente, il titolo ha venduto abbastanza e creato un seguito appassionato da meritare un remake. Oggi Nier è una delle IP più amate di Square, e tutto ciò partendo da un modesto 69 su Metacritic. Per chi volesse riscoprirlo, il titolo originale è retrocompatibile sulle console moderne, pronto a sorprendere chi lo affronta oggi.

Kirby Air Ride è uno di quei giochi che o ami o odi, senza vie di mezzo. Le recensioni negative spesso si concentrano sui controlli semplificati, ma ignorano due gemme legate al pacchetto: Top Ride, un racing alla Super Off-Road, e soprattutto la leggendaria modalità City Trial. Qui il gioco cambia completamente, diventando un’esperienza unica di preparazione del proprio veicolo per eventi casuali, un concetto che non ha mai avuto un vero sostituto.

Oggi, parlare di Kirby Air Ride significa inevitabilmente parlare di City Trial. Il gioco originale è ben fatto, ma la sua modalità più folle è ancora oggi un’esperienza da non perdere. Se non l’avete mai provata, è il momento giusto.

Deadly Premonition è un titolo che lascia perplessi appena lo metti sul tavolo. La prima impressione? “Wow, che caos”. Eppure, quella confusione nasconde una delle esperienze più strane e originali degli ultimi quindici anni. Nulla somiglia davvero a questo gioco. Ancora oggi, gli appassionati ne parlano come di un cult, in parte per il legame con l’estetica di Twin Peaks, in parte per la sua narrativa capace di catturare fino all’ultimo minuto.

Non è un semplice jank comico: i personaggi sono memorabili, la storia intrigante, l’atmosfera autenticamente inquietante. Deadly Premonition è uno di quei titoli che non si dimenticano facilmente.

Il remake di MediEvil è un classico con un vestito nuovo. Le modifiche sono sottili, quasi invisibili, ma migliorano l’esperienza complessiva senza tradire l’originale. Il titolo è pieno di carattere, con humor leggero e intelligente.

All’inizio c’erano problemi di performance, poi risolti in patch, e oggi gira perfettamente su PS5. MediEvil rimane un gioco pieno di fascino, divertente e assolutamente da recuperare.

All’annuncio, l’art style non convinse: quel movimento “a bambola di carta” sembrava innaturale. Ma giocato su console native, il titolo sorprende. Fedelissimo all’originale, offre upgrade, difficoltà variabili e checkpoint generosi, rendendolo accessibile anche ai meno temerari.

Un approccio quasi perfetto per aggiornare un classico, ingiustamente sottovalutato dai critici più frettolosi.