Chi lo ha incrociato negli ultimi mesi racconta, «off the record», che per Steve Witkoff si può trattare su tutto. Non esistono principi intangibili, valori morali irrinunciabili. È una regola, certo non particolarmente originale, che il sessantottenne uomo d’affari ha maturato in più di quarant’anni di attività nel settore immobiliare.
Nato a Long Island, nello Stato di New York, da una famiglia del ceto medio, il giovane Steve studia da avvocato, mostrando subito uno spiccato talento per il business. Gli anni Ottanta e Novanta si dimostrano propizi: Witkoff diventa rapidamente uno dei broker più attivi, navigando nel tumultuoso sviluppo edilizio di New York. Si mette in proprio: compra e costruisce edifici a Manhattan, fino a incrociare un altro imprenditore rampante: Donald Trump, con i suoi progetti iperbolici, i debiti, i problemi giudiziari e tutto il resto.
Di solito, due così o diventano implacabili rivali o grandi amici. Tra Steve e Donald nasce un sodalizio senza riserve. Scafati, pragmatici fino al cinismo se occorre. Per Trump ciò che conta è «l’arte di fare affari». Per Witkoff è strappare le condizioni migliori possibili nel negoziato. Quando, nel 2016, Donald si candida alle primarie repubblicane, Steve è uno dei pochi che ci crede e lo appoggia anche finanziariamente. In tutti questi anni si sono frequentati con assiduità, anche nei momenti più difficili. Per esempio quando Witkoff, nel 2011, ha perso il figlio Andrew, morto per overdose di oppioidi. Da decenni giocano insieme a golf e nel settembre del 2024, hanno fondato una società, la World Liberty Financial, che si occupa di criptovalute.
E’ forse necessario esplorare questo retroterra per provare a capire perché Trump, appena tornato alla Casa Bianca, abbia di fatto consegnato all’amico le chiavi della politica estera americana, affidandogli i dossier cruciali, dal Medio Oriente all’Ucraina.
Ed è anche un segno dei tempi se il «piano in 28 punti» non sia stato negoziato tra i capi delle diplomazie, il Segretario di Stato, Marco Rubio, e il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. Il protagonista è, invece, un uomo che non ha alcuna esperienza politica e men che meno diplomatica. Ma secondo Trump conosce, quasi come lui, «l’arte» di trattare. A modo suo, però, come dimostra proprio il progetto «per la pace in Ucraina». Per prima cosa, Witkoff ha messo la parte più debole, cioè Volodymyr Zelensky con le spalle al muro. I 28 punti non sono una proposta, ma un aut aut. Al contrario, l’immobiliarista recepisce praticamente tutte le richieste della controparte più forte, Vladimir Putin. E, naturalmente, si preoccupa di trattenere per gli Stati Uniti, per i mediatori, una cospicua parcella per il disturbo.
Tutto il resto passa in secondo piano: il diritto internazionale calpestato dai russi, il mandato di cattura della Corte penale internazionale a carico di Putin, le competenze della Nato, le prerogative dell’Unione europea. Ecco come ha preso forma il disegno dell’accordo. Zelensky non può che accettare la mutilazione del Paese, rinunciando anche a una porzione di territorio ancora controllato dal suo esercito. Un abominio giuridico. Inoltre, l’Ucraina deve abbandonare la prospettiva di entrare nella Nato e ridurre di un quarto il suo esercito. Putin, invece, viene riabilitato. Tutto dimenticato: le stragi di civili, il tentativo di soggiogare una nazione indipendente. Per lui è pronto un posto al tavolo del G8.
Ma l’indole di Witkoff si rivela allo stato puro nel capitolo che riguarda la ricostruzione dell’Ucraina. Il testo prevede che gli europei, il Belgio in particolare, sblocchi 100 miliardi di dollari delle riserve monetarie russe per destinarle a investimenti in Ucraina guidati dagli Stati Uniti, cui dovrebbe andare il 50% dei profitti. Il resto, altri 100 miliardi di dollari dovranno, invece, essere dirottati in progetti finanziari congiunti russo-americani. Non basta: l’Europa dovrebbe aggiungere altri 100 miliardi per contribuire alla ricostruzione.
«Witkoff dovrebbe farsi vedere da uno psichiatra», ha detto un diplomatico al sito «Politico.eu». Ma da buon mercante, Steve sa che la bilancia di un accordo deve avere due piatti. Quello russo è stracarico di cose concrete. Quello ucraino, almeno per ora, solo di promesse, tutte da verificare. Come le garanzie di difesa simili all’articolo 5 della Nato (gli alleati corrono in soccorso di un partner aggredito). Infine, con la disinvoltura tipica del broker spregiudicato, Witkoff maneggia anche strumenti che non competono né a lui né al governo degli Stati Uniti. Per esempio: il via libera all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea.
22 novembre 2025, 16:59 – modifica il 22 novembre 2025 | 17:03
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