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Oltre 300 persone – 303 alunni e 12 insegnanti – sono state rapite in un attacco armato a una scuola privata cattolica a Papiri, nella Nigeria occidentale: i 303 alunni sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze, fra i 10 e i 18 anni. I rapimenti condotti da gruppi armati per ottenere dei riscatti sono diventati frequenti in Nigeria e sono spesso condotti da milizie islamiste. Quello di Papiri è il più grande nella storia del paese, superiore anche a quello del 2014 condotto dal gruppo Boko Haram: allora furono rapite 276 ragazze.
La scuola oggetto dell’attacco è la St Mary e si trova nello stato del Niger, confinante con quello della capitale Abuja: alcuni uomini armati sono arrivati nelle prime ore di venerdì, quando ancora era notte, rapendo gli alunni e le alunne che dormono nelle strutture della scuola. Oltre 200 sono stati rapiti all’interno della scuola, altri 80 hanno provato a fuggire ma sono stati trovati dagli uomini armati poco dopo. Le forze di polizia nigeriane stanno perlustrando le foreste vicino alla scuola, finora senza esito. Inizialmente si pensava che i rapiti fossero 215, poi il numero è stato aggiornato a 315.
Il presidente nigeriano Bola Tinubu ha rinviato alcuni viaggi all’estero, compresa la partecipazione alla riunione del G20 in Sudafrica, mentre il governo ha ordinato la chiusura precauzionale di decine di collegi e scuole. È il terzo rapimento in una settimana in Nigeria: lunedì venti alunne musulmane sono state rapite da un collegio nello stato di Kebbi (nell’attacco è stato ucciso il vicedirettore della scuola), e martedì è stata attaccata una chiesa nello stato di Kwara: due persone sono state uccise, 38 rapite.

Amina Hassan, la moglie del vicedirettore della scuola di Kebbi, una delle due persone uccise (AP Photo/Tunde Omolehin)
La Nigeria non riesce a limitare questo tipo di rapimenti: per provare a scoraggiarli ha reso illegale pagare i riscatti, ma la misura per ora non è stata efficace. Nel nord del paese gruppi jihadisti compiono azioni simili da almeno un decennio. Nel 2014 a Chibok, nel nordest della Nigeria, 276 ragazze sia cristiane che musulmane furono rapite da miliziani del gruppo Boko Haram. Poco dopo il rapimento iniziò un’estesa campagna internazionale, in cui si era impegnata molto anche l’allora first lady americana Michelle Obama, per chiederne il rilascio, usando sui social network l’hashtag #BringBackOurGirls. Il primo tentativo del governo nigeriano di trattare con Boko Haram fallì, così come fallirono gli sforzi internazionali per trovare e liberare le ragazze rapite. In oltre dieci anni molte sono scappate o sono state liberate, ma circa 100 non sono mai ritornate.
Recentemente la questione dei rapimenti e delle violenze è stata sollevata anche dall’amministrazione statunitense di Donald Trump, che ha parlato di una «persecuzione verso i cristiani» e ha minacciato ritorsioni verso il governo nigeriano.
In realtà la situazione è più complessa: i gruppi estremisti islamici rapiscono e colpiscono indifferentemente cristiani e musulmani che non aderiscono ai loro principi. In Nigeria vivono 230 milioni di persone, divise in modo quasi paritario tra musulmani, principalmente nel nord, e cristiani, che vivono soprattutto a sud (esistono poi comunità più piccole legate a culti tradizionali africani). Le persone di fede musulmana uccise in attacchi delle milizie islamiste sono anche di più di quelle di fede cristiana.
Esistono poi conflitti etnici e legati all’accesso alle terre e all’acqua, che vedono spesso opposti agricoltori stanziali di fede cristiana e pastori nomadi di fede musulmana.