di
Aldo Cazzullo
Quella che sembrava leggerezza era profondità: pareva una svampita ma era chirurgica. Nell’ultima fase della sua carriera invece di ritirarsi aveva scelto di darsi di più
Ornella Vanoni non era soltanto – con Mina – la più grande cantante italiana. Era la più moderna cantante italiana. Aveva vissuto da bambina la guerra, da ragazza la ricostruzione, da giovane donna il miracolo economico. Ma non era figlia né di quell’Italia povera e alacre, né di quella sorridente e prosperosa. Ornella Vanoni cantava la nevrosi, la malinconia, l’inquietudine. Anche quando sceglieva canzoni all’apparenza allegre, come nel periodo coloratissimo della musica brasiliana, la bossa nova, al fondo c’era sempre un velo di tristezza, si affacciavano sempre una cosa perduta, una possibilità mancata.
Il suo corpo e la sua voce le corrispondevano. In un tempo di bellezze giunoniche, lei era magra, asciutta, nervosa. Nell’era del bel canto, la sua voce sapeva di fumo, di sigaretta, di smog, di frenesia metropolitana. Quella che sembrava leggerezza era profondità. Pareva svampita, era chirurgica. Non diceva mai una parola a caso. Donna difficile da capire, in un’epoca, la nostra, in cui le cantanti di successo si fidanzano con trapper delinquenti, miliardari, influencer.
Lei ha avuto due grandi amori: Giorgio Strehler e Gino Paoli, il più importante artista teatrale e il primo cantautore. Anche se, raccontava, l’uomo che l’ha amata di più è stato suo padre: «Ricordo le sue mani che mi tiravano di forza sull’ultimo treno che partiva da Milano, sotto i bombardamenti. Lo ricordo buttato addosso a me nei campi per proteggermi dalle schegge. Mi salvò, e mi rovinò. Perché a lungo ho pensato che tutti gli uomini fossero come mio padre, pronti a farsi uccidere per me». Poi però si correggeva: «Mi sarebbe piaciuto essere protetta. Ma non mi mettevo nelle condizioni di farmi proteggere».
All’inizio era un’attrice. Paradossalmente era stato proprio Strehler a fare di lei una cantante. Quando Gino Paoli si trovò le due grandi mani appoggiate sul pianoforte, scrisse per lei «Senza fine». Quei due uomini straordinari, che non aveva mai smesso di amare, l’avevano formata e nello stesso tempo le avevano lasciato un dolore profondo.
Ad allontanarla da Strehler fu la cocaina, che non faceva parte del suo stile di vita: Ornella non aveva bisogno di eccitarsi, semmai di calmarsi. E Gino Paoli era già sposato. Un mattino, dopo un concerto alla Capannina, scendendo a fare colazione in giardino Paoli vide materializzarsi l’incubo di ogni uomo: la moglie e l’amata sedute fianco a fianco sul dondolo, a dirgli «scegli, o me o lei».
Come ogni uomo, Paoli fuggì. Fu la Vanoni a scegliere, andandosene, senza dimenticare. Quando Gino si sparò al cuore, per vedere cosa c’era dall’altra parte, Ornella andò a trovarlo in ospedale, di notte, per non essere fotografata. Lui rideva, le scompigliava i capelli, e diceva di lei: «Sembra un setter, invece è un boxer». Intendeva dire: sembra elegante e altera, in realtà è dolce e affettuosa. (Ornella, ma tu sei un setter o un boxer? «Posso essere tutte e due»). Finì per sposare un uomo che non amava. Ebbe un figlio, Cristiano, con cui faticò a recuperare il rapporto, non è facile fare bene sia l’artista di successo sia la mamma. Si innamorò di una donna, «ma fu una tragedia, il corpo femminile non mi piace». Un’altra donna, pastore protestante, la avvicinò a Gesù.
Dopo l’ultima delusione d’amore rimase sola, e sola è rimasta sino alla fine, sia pure molto amata da amici e collaboratori, a cominciare dall’importantissima Veronica De Andreis. E nei racconti tornava spesso l’immagine di quel padre «buttato addosso», pronto a tutto pur di proteggere la sua bambina. Nella solitudine, la vecchiaia di Ornella Vanoni è stata affollata e ricca. Qualsiasi scelta va rispettata, compresa quella della sua amica e rivale Mina, con cui aveva litigato una volta sola, quando scoprì che non avrebbero fatto insieme Milleluci come le aveva promesso (la telefonata fu gelida, appunto chirurgica: «Mina, sei una vigliacca». «Allora è guerra?» «No, è una constatazione»). Anziché ritirarsi – «a novant’anni dove volete che mi ritiri?» -, Ornella aveva scelto di darsi. Di spendersi. Di raccontarsi giorno per giorno, grazie anche alla sapienza televisiva di Fabio Fazio.
Ironica com’era, sapeva ridere di se stessa, infatti era diventata amica di Virginia Raffaele. Persino l’intervento di chirurgia estetica, che all’inizio pareva aver deturpato la delicatezza dei suoi lineamenti, con il tempo si era stemperato e aveva fatto di lei semplicemente una donna che dimostrava meno della sua età. E poi gli occhi non invecchiano, e gli occhi di Ornella erano sfavillanti, seducenti, meravigliosi. Altro grande amore da cui si sentiva tradita o non più corrisposta era Milano. Da ragazza con Strehler girava per osterie a sentire le canzoni popolari, ribattezzate le canzoni della mala; anche se «Ma mi» l’aveva scritta Strehler stesso. Del suo patrimonio non aveva fatto buon uso, era rimasta con poche lire, aveva rinunciato alla bellissima casa in largo Treves; ma aveva salvato la sua collezione, frutto dell’amicizia con gli artisti, Melotti, Novelli, Enzo Cucchi, Arnaldo Pomodoro.
Frequentava casa Craxi con Lucio Dalla, «un genio». Non si riconosceva più in quello che Milano stava diventando, ma non aveva mai smesso di amarla. Si augurava di morire in fretta, non come la zia, imprigionata fino a 107 anni in un corpo che non era più suo. E’ stata accontentata. Non credeva nel futuro, né in quello dell’umanità – «la terra è stanca di noi. Leggo che sarà dominata dagli uccelli o dagli insetti. Preferirei gli uccelli, almeno sono variopinti» -, né nel proprio: «Siamo energia, e l’energia rimarrà in circolo. Non ci saranno angeli che cantano. All’inferno però non posso andare: ho la pressione bassa, non reggerei tutto quel caldo». Aveva chiesto di essere ricordata in modo molto semplice: «Il teatro Lirico l’hanno dedicato a Gaber, le due sedi del Piccolo a Strehler e a Grassi, la Palazzina Liberty a Fo e a Rame, lo Studio alla Melato. Per me non è rimasto niente. Mi basterebbe un’aiuola in centro». L’aiuola Ornella Vanoni sarà un luogo bellissimo, dove i giovani la ricorderanno, e dove Milano e l’Italia custodiranno un frammento prezioso di se stesse.
23 novembre 2025 ( modifica il 23 novembre 2025 | 07:51)
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