di
Barbara Visentin
Il cantautore e produttore era legato alla cantante da una lunga amicizia: «Quando l’ho conosciuta era un po’ aristocratica, poi si è liberata»
Mario Lavezzi in questi giorni di dolore per la scomparsa di Ornella Vanoni è stato a tutti gli effetti uno di famiglia. Il cantautore e produttore la considerava «veramente una sorella», aveva condiviso con lei tanti anni di musica e amicizia e, alla notizia della sua morte, si è precipitato in casa sua, assieme alla moglie. È lui che ne ha raccontato gli ultimi istanti di vita.
Se n’è andata in un soffio…
«Era seduta in poltrona dopo cena, stava vedendo la tv. Ha chiesto del gelato alla sua collaboratrice, il tempo che lei andasse in cucina a prenderglielo e quando è tornata l’ha trovata con il capo chino sulla spalla sinistra. Se n’è andata senza un lamento, senza neanche un rumore».
Non c’erano stati dei segnali nei giorni precedenti?
«Assolutamente no, tanto che aveva programmato di andare in tv da Fazio oggi. Il gelato che aveva in casa credo l’avessero portato degli amici andati a cena qualche sera prima, quindi faceva la sua vita. Aveva avuto un piccolo intervento per una vertebra che le dava molto fastidio, forse un po’ incrinata, ma poi era stata dimessa, camminava, il dolore si era lenito».
Lei le era molto vicino.
«Sì, oggi andrò anche alla camera ardente ad accompagnare un’amica, ma sono corso da Ornella la sera stessa che ci ha lasciati. Appena mi hanno chiamato per darmi la notizia, io e mia moglie ci siamo precipitati lì, nel giro di mezz’ora eravamo a casa sua e siamo rimasti fino alle tre del mattino. Poi ci sono tornato ieri (sabato, ndr) con Renato Zero che mi ha chiesto di accompagnarlo: lì distesa sul letto, sembrava che Ornella dormisse, aveva il volto disteso, tanto che Renato mi ha detto “mo’ apre gli occhi”».
Quando l’aveva sentita l’ultima volta?
«Ornella chiamava spesso me o mia moglie. L’ultima telefonata è stata di mia moglie che l’ha chiamata il giorno prima che se ne andasse perché appunto era stata dimessa da quel piccolo intervento e volevamo sapere come stesse. Aveva parlato anche con la sua assistente. Il nostro contatto era quotidiano. Quando Ornella era a casa, si metteva al telefono e cominciava a chiamare vari amici, compresi noi».
Di cosa parlavate?
«Del quotidiano… di come sta andando il mondo, quel che si dicono gli amici insomma».
Avevate in programma di vedervi?
«Avevamo programmato di andare in studio il 27 per registrare una canzone bellissima che Gino Paoli le aveva mandato. E già prima ci saremmo dovuti vedere per prepararla, a casa sua, assieme a Paola Folli, la sua vocal coach. Ornella era meticolosa in tutto, si preparava moltissimo. Poi prima dell’estate abbiamo registrato insieme una cover di “Vivere” che lei ha voluto fare, per me è venuta straordinaria e spero che verrà pubblicata».
Oltre alla musica, condividevate del tempo libero?
«Certo, andavamo spesso al ristorante, oppure veniva lei a cena da noi o noi da lei. Non è che mangiasse tanto, ma le piaceva mangiare bene, dal bollito, al risotto alla milanese all’amatriciana. Io e mia moglie siamo stati a cena a casa sua più o meno 15 giorni fa l’ultima volta».
Che altri ricordi le tornano in mente dell’Ornella amica?
«Abbiamo visto molti Sanremo qui a casa nostra, insieme a tante persone. Ricordo un anno in cui tutti parlavano e ad un certo punto lei ha gridato: “Basta parlare! Ascoltiamo!”. Si era arrabbiata di tutto quel vociferare».
Aveva un bel caratterino.
«Aveva una personalità dirompente, sul palco e nella vita. Ho imparato tanto da lei, dall’intelligenza e dalla cultura che aveva, dalla sua libertà di fare le cose. C’era anche del contraddittorio fra noi, litigavamo anche, ed era giusto così. Come produttore le proponevo canzoni di tanti autori, lei era molto selettiva e molto spesso le dicevo “dai, proviamo almeno a fare dei provini”, allora lei acconsentiva e spesso così nascevano cose di valore».
Ricorda un litigio?
«Dovevamo registrare il disco che poi sarebbe diventato “Sheherazade”, eravamo a giugno o luglio e lei mi fa: “Non c’ho voglia di stare a Milano a fare il disco, andiamo in vacanza”. Abbiamo trovato una casa in disuso a Forte dei Marmi e ci siamo fatti installare uno studio portatile lì, vicino al mare. In quell’occasione ci sono state tante discussioni, voleva fare un disco con tre arrangiatori diversi e io le dicevo “Ornella, è un po’ complicato…”, ma alla fine ce l’abbiamo fatta”.
Cosa le è rimasto impresso dei vostri primi incontri?
«Avevamo la stessa casa discografica, io a quei tempi producevo Loredana (Bertè, ndr). Ornella era un po’ aristocratica, la salutavi e lei diceva appena “ciao” e poi basta. Poi mano a mano si è liberata, ha perso i freni inibitori, non si nascondeva certo dietro a un dito. Insieme ridevamo tanto anche».
Che cosa le mancherà di più di lei?
«Tutto. Era proprio una di famiglia, sono cresciuto con lei. Abbiamo iniziato a collaborare nel 1991 e siamo andati avanti fino a oggi. Poi lei ha fatto anche degli album senza di me, voleva provare anche altro, ma io non mi offendevo mica, le dicevo: “Ma certo, fai pure”».
Se n’è andata come voleva?
«Assolutamente, quello che consola è che diceva di voler andarsene velocemente, scegliendolo. E magari inconsciamente l’altra sera l’avrà scelto? Chi lo sa, forse sto vaneggiando. Siamo rimasti tutti basiti. Ma lei detestava la vecchiaia, non per la vecchiaia in sé, ma perché il corpo non rispondeva a quel che lei avrebbe voluto fare. Era ancora molto lucida e io firmerei per andarmene così, è la cosa migliore».
Che eredità lascia?
«La sua voce rimarrà anche alle nuove generazioni, lo dico perché vedo i miei figli, di 30 e 34 anni, che al karaoke cantano i suoi pezzi o quelli di Battisti. Non possono mica fare il karaoke con il rap o la trap».
23 novembre 2025 ( modifica il 23 novembre 2025 | 12:10)
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