IL 26 novembre 2025 arriva su Disney+ quello che i fan di Beatles aspettavano da tempo: la restaurata e ampliata docuserie The Beatles Anthology: un’opera che non si limita a riproporre il passato, ma lo rivive e lo rimette in gioco, offrendo nuove angolazioni, tecnologie sonore d’avanguardia; e soprattutto una domanda che vibra sotto la superficie “che cosa rende immortale il mito dei quattro di Liverpool?”

Il mito senza fine

Quando si parla dei Beatles, si pensa immediatamente a “Beatlemania”, rivoluzione musicale, abiti sgargianti, capelli a caschetto, la globalizzazione del rock. Eppure, al di là di tutto questo, c’è un altro elemento: la capacità di restare al centro della narrazione musicale più di cinquant’anni dopo. Il progetto Anthology 2025 si inserisce in quella dinamica: non è solo nostalgia, è un atto di revisione. Perché? Perché le nuove generazioni scoprono i Beatles non per quello che erano allora, ma per quello che continuano a essere oggi.

Un anniversario che conta

Il 2025 segna il trentennale della serie originale Anthology e l’annuncio (insieme al relaunch discografico) rende evidente che l’operazione è pensata come evento culturale, non solo come prodotto commerciale.

In un modo dove “tutto è già visto”, questa nuova uscita pretende di dire qualcosa di nuovo sul gruppo che ha segnato un’epoca.

Alla scoperta di “The Beatles Antology”

La serie originale – otto episodi, uscita nel 1995 – aveva rappresentato un punto di svolta nella narrazione musicale: i protagonisti erano gli stessi The Beatles (Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr), intervistati di persona, uniti a filmati d’epoca, concerti, dietro le quinte.

Ora, trent’anni dopo, la produzione ha deciso di fare un salto: rimasterizzazione visiva e sonora, e soprattutto un nuovo episodio — il nono — con materiale inedito e riflessioni dirette dei protagonisti.

In questo articolo esploreremo non solo cosa vedremo nella docuserie, ma anche cosa significa oggi, perché tornare sui Beatles, quali novità tecniche e narrative caratterizzano l’edizione 2025, e come questo ritorno si inserisce in un contesto più ampio di memoria, musica e cultura pop.

Com’era l’Anthology degli anni Novanta
Un racconto in prima persona

Quando l’Anthology andò in onda per la prima volta nel 1995, fu percepita come una chiusura del cerchio. Per la prima volta, la storia dei Beatles veniva raccontata da loro stessi: ore di interviste a Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr, incrociate con vecchi audio di John Lennon, filmati d’archivio, concerti, apparizioni tv, backstage, super-8 di famiglia.

Non era una docuserie “esterna”, costruita da critici o biografi, ma una sorta di seduta di memoria collettiva: i quattro, ormai sparpagliati tra carriere soliste e vite private, si guardavano indietro. Raccontavano Liverpool, le notti ad Amburgo, le prime audizioni, l’arrivo di Brian Epstein, il primo singolo in classifica. E poi la tempesta: la Beatlemania, i tour impossibili, le urla che coprivano gli amplificatori.

Dalle cantine al laboratorio di studio

Una delle intuizioni dell’Anthology era mostrare la band non solo come fenomeno pop, ma come laboratorio creativo. Mano a mano che la serie avanzava, diminuivano i filmati dai palchi e aumentavano quelli dagli studi di registrazione: Abbey Road, le prove con l’orchestra di “A Day in the Life”, gli esperimenti con i nastri al contrario, l’India, l’influenza della cultura psichedelica e della controcultura anni Sessanta.

La docuserie seguiva il filo che porta da “Love Me Do” a “Strawberry Fields Forever” e “Come Together”, mostrando come quattro ragazzi partiti da un pub di Liverpool siano diventati, nel giro di otto anni, il riferimento mondiale per la scrittura pop-rock. Non c’erano solo aneddoti: c’era la sensazione di assistere, quasi in diretta, alla nascita di un linguaggio.

La frattura, la fine, il dopo

L’ultima parte della serie originale raccontava i Beatles in frantumi: le tensioni, le divergenze creative, i problemi con l’Apple, le scene di studio in cui si percepisce che l’unità non regge più. Poi lo scioglimento, le carriere soliste, l’omicidio di Lennon. L’Anthology degli anni Novanta si chiudeva con immagini teneramente malinconiche: i tre sopravvissuti che si ritrovano per lavorare su vecchie cassette incise da John, trasformate in due nuove canzoni, “Free as a Bird” e “Real Love”.

Già allora quel gesto era un esperimento quasi fantascientifico: usare la tecnologia per rimettere insieme una band che non c’era più. Oggi, con “Now and Then” e con l’uso massiccio dell’AI per separare e ripulire le tracce vocali, quel discorso si allarga ancora.

L’addio, le ferite e la memoria

L’ultimo blocco originale della serie (2025: ampliato col nono episodio) affronta l’addio del 1970, la morte di John Lennon, l’eredità artistica. Ma quello nuovo episodio offre qualcosa in più: materiale del 1994–95, interviste dei superstiti, backstage dell’Anthology originale. È un passo meta-narrativo: non solo “la fine dei Beatles”, ma “come i Beatles guardano la propria fine e il proprio passato”.

Novità 2025: versione “re-immaginata”
Le nuove tecnologie al servizio del passato

Uno dei temi più affascinanti del rilancio riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale e della de-mixing audio: come ci racconta Giles Martin — figlio del mitico produttore George Martin — il team ha separato tracce, isolato voci, restituito nitidezza a performance che, all’epoca, erano soffocate dal contesto tecnico (pubblico urlante, amplificazioni rudimentali).

In altre parole: ascoltare oggi i Beatles non è come ascoltarli ieri. E questa differenza è parte integrante della proposta.

Dal rumore al dettaglio: cosa cambia con il restauro

Guardare The Beatles Anthology nel 2025 non sarà come riguardare un vecchio VHS. Il lavoro di restauro è stato profondo: le immagini, spesso provenienti da telecamere d’epoca o da pellicole rovinate, sono state scansionate, ripulite, stabilizzate; l’audio è stato de-mixato usando MAL, il software di intelligenza artificiale sviluppato originariamente per Get Back e poi per i remix di Revolver e per “Now and Then”.

Giles Martin ha raccontato di aver potuto “isolare” la voce di John Lennon nei live storici – per esempio al Shea Stadium – come non era mai stato possibile: all’epoca le urla del pubblico coprivano tutto, persino per chi suonava sul palco. Oggi, miracolosamente, si distinguono i colpi di Ringo, gli incastri di chitarra tra John e George, il basso di Paul che tiene insieme ogni pezzo.

C’è un rischio, naturalmente: che il restauro troppo perfetto snaturi il sapore del tempo. Ma l’intento dichiarato non è “rifare” i Beatles, bensì sentirli meglio, togliendo la patina tecnica che impediva di apprezzare pienamente le performance.

Episodio 9 e contenuti inediti

La grande novità dell’edizione 2025 è l’episodio 9 — diretto da Oliver Murray — che raccoglie scene mai viste, confronti fra McCartney-Harrison-Starr, riflessioni su cosa è stato quel progetto negli anni Novanta. In pratica, un “dietro le quinte” del dietro le quinte.

La scelta è interessante: non si aggiunge per aggiungere, ma per completare la domanda che la serie pone da sempre: “Chi siamo stati, cosa siamo diventati?”

Produttori e tecnici dietro il progetto

Dietro al restauro c’è la produzione di Peter Jackson — tramite le sue società Wingnut Films e Park Road Post — insieme a Apple Corps e al team di Giles Martin. Un gruppo che ha già operato su Get Back e che porta un approccio da cinema d’arte anche in un progetto documentaristico musicale.

Questo significa cura visuale estrema, audio in Dolby Atmos, colori restaurati, graffi tolti, ma anche atmosfera preservata.

Non solo serie: la nuova Anthology Collection e il ritorno del libro
Un cofanetto per vedere (e ascoltare) tutto

Attorno alla docuserie si muove un progetto discografico altrettanto ambizioso. A novembre esce infatti la Anthology Collection, in versione vinile 12 LP e boxset 8 CD: contiene i tre album Anthology usciti negli anni Novanta, rimasterizzati nel 2025 da Giles Martin, più un quarto volume inedito, Anthology 4.  

In totale si parla di 191 tracce: outtakes, versioni alternative, registrazioni live, demo, trasmissioni radiofoniche. Il nuovo disco raccoglie tredici brani mai pubblicati prima e una selezione di pezzi tratti dalle edizioni super deluxe di album storici come Sgt. Pepper e Abbey Road.  

Tra le curiosità, le nuove versioni di “Free as a Bird” e “Real Love”: anche qui, l’AI è intervenuta per isolare e migliorare le tracce vocali di John Lennon, con la stessa tecnologia usata per “Now and Then”. Un modo per rimettere a fuoco quella mini-reunion dei tre Beatles superstiti che all’epoca fu accolta con sentimenti contrastanti.

Il libro che si aggiorna

Il terzo pilastro dell’operazione è il libro: una nuova edizione del volume The Beatles Anthology, annunciata dall’Associated Press come “25th anniversary edition”, anche se in realtà siamo ormai oltre. Dentro, oltre 1.300 immagini e le voci dei quattro Beatles, ma anche di figure chiave come Neil Aspinall, George Martin, Derek Taylor.  

Il libro nasceva, negli anni Novanta, come complemento della docuserie, un luogo dove fissare la memoria con più calma rispetto al video. Oggi torna come oggetto culturale per chi non vuole soltanto guardare e ascoltare, ma leggere la storia della band, pagina dopo pagina, come fosse un romanzo di formazione collettivo.

Per chi ama libri e musica

La docuserie può diventare anche uno strumento di esplorazione culturale:

  • Si possono guardare gli episodi come introduzione e poi tuffarsi nel libro “The Beatles Anthology”;
  • Si possono ascoltare, in parallelo, gli album storici e le versioni alternative dell’Anthology Collection, chiedendosi cosa cambia nel passaggio da demo ad album;
  • Si può usare la serie come pretesto per rileggere la storia degli anni Sessanta, dai moti studenteschi alla controcultura, passando per l’arte pop e la poesia beat.

In fondo, l’Anthology racconta i Beatles, ma parla di tutti noi: di come si cresce troppo in fretta, di come si gestisce il successo, di come si fa e si disfa una comunità creativa.