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Negli ultimi due anni il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è riuscito a evitare ogni indagine sull’impreparazione e i fallimenti dell’intelligence che portarono all’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023, sostenendo che non si potesse fare a causa della guerra in corso nella Striscia di Gaza.

Ora che a Gaza è in vigore un cessate il fuoco, le opposizioni e le associazioni dei familiari delle persone uccise e degli ostaggi stanno aumentando le pressioni sul suo governo, chiedendo di avviare indagini per capire cosa non funzionò e perché l’attacco di Hamas non fu evitato. Netanyahu sta quindi provando un’altra strada: continua a prendere tempo, e intanto sostiene che una commissione d’indagine nominata dal governo (quindi non indipendente) godrebbe di maggiore fiducia da parte della popolazione rispetto a una commissione indipendente nominata dalla Corte Suprema.

Netanyahu teme che i risultati di un’indagine indipendente metterebbero in difficoltà il suo governo, possibilmente costringendolo alle dimissioni: un’eventualità che per lui sarebbe un problema non solo politico, ma anche giudiziario, dato che è coinvolto in un processo in cui è accusato di frode e corruzione.

Che l’incapacità di prevenire e poi rispondere in modo tempestivo all’attacco di Hamas sia stato tra i peggiori fallimenti dell’esercito e dei servizi segreti israeliani è stato chiaro fin da subito. In poche ore migliaia di miliziani di Hamas attraversarono il confine militarizzato che separa la Striscia di Gaza da Israele, superando senza difficoltà le difese israeliane: uccisero 1.200 persone e ne rapirono più di 250. Dopo l’attacco Israele ha invaso la Striscia di Gaza e avviato una brutale campagna di attacchi e bombardamenti, con cui in circa due anni ha ucciso 70mila persone palestinesi e distrutto la maggior parte degli edifici della Striscia.

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Da allora in Israele alcune delle persone considerate responsabili delle mancanze e degli errori che permisero l’attacco di Hamas si sono dimesse: tra gli altri l’ex capo di stato maggiore dell’esercito, Herzi Halevi, e il capo dell’intelligence militare Aharon Haliva. A febbraio di quest’anno l’esercito ha pubblicato un rapporto che elenca tutte le proprie carenze, e col quale ammette il proprio «totale fallimento» nel proteggere i civili, sia prima sia durante l’attacco. Dall’altra parte il governo finora è rimasto quasi esente da scrutinio, e Netanyahu non si è mai assunto alcuna responsabilità per l’accaduto.

Immagini di prigionieri israeliani su un muro di Tel Aviv, 18 ottobre 2023 (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Istituire una commissione d’inchiesta per un fallimento istituzionale delle dimensioni di quello del 7 ottobre, e in generale per fatti che sconvolgono in modo così forte l’opinione pubblica, è una prassi consolidata in Israele: era stato fatto dopo l’omicidio del primo ministro Yitzhak Rabin, nel 1995, dopo il massacro di Sabra e Shatila nel 1982, e anche dopo la guerra dello Yom Kippur, nel 1973. La legge israeliana prevede diversi tipi di commissioni, ma quella di cui si parla in questi giorni è la commissione d’inchiesta statale, quella più autorevole e con più poteri: è presieduta da un giudice della Corte Suprema che ne nomina i membri, e ha poteri simili a quelli di un tribunale.

Lo scorso 15 ottobre (quindi qualche giorno dopo l’inizio del cessate il fuoco) l’Alta Corte di Giustizia israeliana si era espressa sul ritardo del governo di Netanyahu, dicendo che non c’era «alcun vero motivo» per cui non potesse essere formata tale commissione, e dando al governo 30 giorni per giustificare perché non l’avesse fatto e rimediare.

Una manifestazione organizzata a Tel Aviv per la creazione di una commissione d’inchiesta statale, 15 novembre 2025 (AP Photo/Mahmoud Illean)

Netanyahu ha risposto il 16 novembre, annunciando la creazione di un gruppo di ministri incaricato di definire gli scopi, i soggetti e i tempi di una futura indagine. Per farlo avranno 45 giorni di tempo, poi si passerà alla definizione delle modalità di selezione dei membri della futura commissione d’indagine. Di fatto il governo ha assegnato a sé stesso il compito di definire le regole di un’indagine che dovrebbe riguardare il governo stesso. Il gruppo di ministri è formato oltretutto da politici molto vicini a Netanyahu: tra gli altri ci sono anche gli estremisti e nazionalisti Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir.

Netanyahu sostiene che la creazione della commissione d’inchiesta statale non avrebbe nessun sostegno tra l’opinione pubblica, e che invece la sua soluzione sarebbe un modo per garantire una rappresentanza più ampia dell’elettorato. È una tesi che però viene smentita dai sondaggi: secondo l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale dell’Università di Tel Aviv, per esempio, tre israeliani su quattro appoggerebbero la creazione di una commissione di inchiesta statale, e anche tra gli elettori dei partiti che fanno parte della coalizione di governo il sostegno supera il 50 per cento.

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