Roma, 23novembre 2025 – Intelligenza abbagliante come gli occhi della canzone dei Primitives. Borghese, colta. Milanese. Anche socialista e milanista a dir il vero. Ornella Vanoni, per me l’interprete più grande. A diciott’anni, mentre le ragazze aspettavano il moroso davanti all’istituto delle suore, lei stava con Strehler. Un filo di trucco, un filo di tacco, troppe borse, troppe scarpe. Libri mai troppi, i suoi livres de chevet, che assaggiava dieci pagine per volta, come una bambina golosa. Uomini intelligenti, spesso geniali, sempre, amiche a specchio.

Nelle stanze di Ornella Vanoni, quando confidò: “Il sesso? Ho smesso a 70 anni”. Mi salutò così: “Ci beviamo un gin?”
Gli anni del Piccolo 

Bella era bella, troppo elegante all’inizio per l’ambiente piccolo piccolo della canzone, lei che veniva dal Piccolo Teatro, forse il più grande d’Europa. La sua culla fra Santa e Brera, dove seguiva Giorgio come una spugna ton su ton, senza sbagliare una nuance grazie all’ascolto. Osservavi, un certain regard, seguivi Bertold Brecht durante le prove dell’Opera da tre soldi, imparavi il tempo sospeso, il batterista è il regista, della nuda scena. L’impronta. Poi canticchiava arie liriche e venne l’idea di far provare qualcosa a quella bella tusa, un repertorio noir, le canzoni della mala.

Ornella Vanoni

Ornella Vanoni

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Poteva fare l’attrice, scelse la musica

Ne abbiamo parlato spesso e ho sempre pensato che questa fosse la chiave della sua diversità, il rapporto profondo o leggero con le parole in musica, quei tempi sospesi del teatro che solo i musicisti del jazz e brasiliani hanno capito. Voce da sax contralto, con vibrato, come il sax di Tenco. ‘Appuntamento’ la declinazione milanese chic della Francia a Genova. Poteva fare l’attrice, non solo a teatro, ha scelto la musica leggera con un certo mal di testa, finché ha incontrato i cantautori, Gino e Luigi, gli amici brasiliani, Toquinho e Vinicius, poeta vagabundo. Il finto brasiliano Bardotti. Poi, confessava, “la libertà ti porta al jazz”, prima con Mulligan e Baker, poi con Paolo Fresu e altri compagni di strada, la stessa scelta di Gino.

Ornella Vanoni

Ornella Vanoni in concerto

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Le sue tre case tra disordine, arte e bellezza

In mezzo un canzoniere elegante e felice, femminile non femminista, poi il teatro come casa di un’autobiografia anche collettiva, monologhi sempre più lunghi fra le canzoni, il jazz canzone per riscrivere ogni sera il respiro del tutto. Le sue tre case, quella verticale di Sant’Andrea, “nel Quadrilatero della moda ma con una libreria sotto”, piena di magnifico disordine, arte e bellezza. E come ombelico ironico un letto. Quella di Brera, orizzontale, che domina senza trucco i tetti di Brera, la finestra su un cortile di cui sai tutto. Il suo perimetro affettivo. Un letto grande come tutto del resto. Sempre libri impilati, a portata di cuscino, la clessidra del suo tempo. E l’ultimo rifugio davanti all’Arena.

Ornella Vanoni

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La confidenza e l’ultimo saluto tra amici

“Come ti sembra la nuova casa: piccola? – mi chiedeva –. Piccolissima, grandissima, piccola, sono le tre che hai visto negli anni”. Minimalista con memoria, senza nostalgia, si muoveva negli spazi mentali di sempre, dopo un distacco dalle cose felice, in compagnia di un’assistente silenziosa e Why, barboncino color bourbon (senza ghiaccio).

Affascinante come Gary Grant in ‘Caccia al ladro’. Amava il cinema del resto. “Ho chiuso col sesso a 70 anni, perché diventi insicura del tuo corpo”, confidava serena. Mi ha salutato così. “Ci beviamo un gin tonic? Siamo amici?”. Sì. La mia preferita, “Io so che ti amerò”.

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