Fabio è l’agente di Cobolli: «Flavio è un guerriero come me, è uno che non si arrende mai. La Coppa Davis ti trasforma, le emozioni con la maglia azzurranon sono paragonabili ad altre»

Con le sue 69 presenze tra il 2008 e il 2022, Fabio Fognini da Arma di Taggia, l’ex n.9 con la mano di velluto che il 30 giugno è uscito di scena a Wimbledon sui titoli di coda di uno strepitoso primo turno con Alcaraz, è stato una colonna della nostra Coppa Davis. Ha sempre risposto signorsì, anche su una gamba sola, esaltandosi ogni volta che ha avuto l’opportunità di indossare la maglia della Nazionale. Nel 2014 ha riportato l’Italia in semifinale per la prima volta dal ’98, travolgendo Andy Murray campione in carica di Wimbledon nella bolgia di terra rossa di Napoli. E di nuovo nel 2022, alla vigilia dell’esplosione del fenomeno Sinner. Oggi è manager di Flavio Cobolli e ballerino per Milly Carlucci: risponde tra la fisioterapia e la sala prove di «Ballando con le stelle».
Fabio ha seguito i 14 match point di Cobolli-Bergs che sono stati visti da un picco di oltre 5 milioni di spettatori tra Raiuno e Supertennis?
«Seguo i risultati ma non guardo più il tennis: ho staccato. No Fognini, no party. Ora sono concentrato sul ballo. È durissima ma mi sto divertendo e ricevo solo commenti positivi».
Qual è la magia della Davis?
«Qualsiasi bambino italiano sogna di vestire l’azzurro, da grande. Io mi trasformavo, rendevo di più. Ho scritto a Flavio: hai vinto una partita da Davis, bravo, hai giocato un match come piacciono a me».
Lei quando sentiva clic, appena vestiva la maglia?
«È una sensazione. La goduria di vincere da solo con Italia scritto sulla schiena, è qualcosa di diverso rispetto alle altre gioie dello sport. Lo avverti. Se n’è accorto anche Flavio: l’avete visto, ha esultato come mai avrebbe fatto in un torneo normale».
Rispetto alla sua Davis, è cambiata la formula. Adesso è più un Campionato del Mondo. Cosa ne pensa?
«L’hanno trasformata, dicono in peggio. Lo penso anch’io. I top player chiedono di disputarla una volta ogni due anni, non so cosa pensare. Certo i forfait di Sinner e Alcaraz le hanno fatto perdere smalto. Mancano i nomi, tra i top 10 c’era solo Zverev. Non fa bene alla Davis. Va rivista».
Ma con la vecchia formula, in casa e fuori, Sinner e Alcaraz l’avrebbero mai giocata?
«Perché no? Magari un girone sarebbe servito a Sinner per macinare partite dopo la squalifica. Dipende tutto dal momento. Certo la priorità di Jannik e Carlos non sarà mai la Coppa Davis».
A lei cosa piaceva, più di ogni altra cosa?
«Fare gruppo. Arrivare dai tornei e creare la dimensione di squadra con compagni, Seppi o Bolelli, che dal giorno dopo tornavano avversari. Ma per una settimana eravamo fratelli, famiglia».
L’impresa di Napoli con Murray rimane il suo fiore all’occhiello in Nazionale.
«Una partita memorabile. Aprile 2014: arrivai sulla terra dagli ottavi di Indian Wells e Miami. Mi ero anche fatto male. Poi a Napoli successe qualcosa di incredibile. 6-3, 6-3, 6-4 al re di Wimbledon, ribaltando l’inerzia della sfida con la Gran Bretagna. Tutto il centrale, alla fine, mi cantò ‘O surdato ‘nnammurato. Sono brividi che vanno vissuti: me li porto ancora dentro. In Davis è tutto sovradimensionato, anche il dolore per le sconfitte. Il 7-5 al quinto nel match decisivo con Nedovyesov ad Astana, per esempio: Kazakistan avanti e noi ai playoff».
Non è paradossale che un giocatore che all’azzurro ha dato tutto non abbia potuto conquistare quella Davis che la nouvelle vague del tennis italiano oggi insegue per la terza volta consecutiva, Fabio? Il c.t. Volandri l’ha esclusa per scelta tecnica nel 2023.
«Ho molti cimeli. Le bandane, le maglie azzurre, le medaglie. Non ho la Coppa, è vero. Più che un rimpianto, però, direi che è un sogno irrealizzato. Vincere era un traguardo di cui avrei voluto fare parte, semplicemente perché me la meritavo. Sarebbe stato più giusto così. Non è successo. Il sogno è rimasto nel cassetto».
Oggi contro la Spagna siamo nelle mani di Matteo Berrettini e del «suo» Cobolli. Perché scelse proprio Flavio come talento da gestire?
«Mi allenavo a Roma con Corrado Barazzutti, il mio capitano, dopo l’operazione alle caviglie. Conoscevo Stefano Cobolli, il papà-coach: dai mandami tuo figlio per allenarmi, gli ho detto. Ho capito subito che Flavio era un cagnaccio, uno che dà sempre battaglia. È giovane, può crescere tanto. Per esprimersi deve stare bene fisicamente: in questo mi ci rivedo. Ha grinta, cazzimma, non molla mai: il tennis gli va dietro. Deve aggiungere livello tecnico, ma lo sa anche lui. Come carattere, niente da dire. Con Bergs si è notato».
Sarà presente a Bologna?
«Il presidente Binaghi mi ha invitato: vieni a vedere la Davis con me. Lo ringrazio. Deciderò all’ultimo. Fino a qui ho preferito fare un passo indietro per i motivi che, chi sa, conosce. Ma la Coppa Davis è la mia vita: mi lascio una porta aperta».



















































23 novembre 2025 ( modifica il 23 novembre 2025 | 07:14)