“La situazione è così devastante e dolorosa, sono necessarie così tante mani, che non potevo lasciare. Era come un 11 marzo tutti i giorni”.
E’ la testimonianza di Raul Incertis, medico anestesista valenziano rientrato in Spagna dopo 4 mesi di lavoro a Gaza, nell’ospedale Nasser, uno dei pochi ancora attivi sulla Striscia, bersaglio di continui attacchi. In un’intervista a radio Cadena Ser, il medico volontario ha paragonato l’orrore della guerra in Medio Oriente a una quotidiana strage come quella islamista che l’11 marzo 2004 insanguinò Madrid.
“Ricevevamo bambini con il corpo dilaniato, con varie parti del corpo straziate da bombe e raffiche di mitra. Dai neonati di un mese a ragazzi di 15 o 16 anni”, ha raccontato l’anestesista, descrivendo la crudeltà degli attacchi. Durante la sua permanenza all’ospedale Nasser, la struttura è stata bersaglio di “due bombardamenti, attacchi di una milizia al soldo di Israele con spari di mitragliatrici e granate, l’ultimo 10 giorni fa”. “L’esercito israeliano era a 300-400 metri e i cecchini sparavano contro l’ospedale. Hanno ucciso un uomo e ferito gravemente un altro”, ha ricordato.
Il medico ha descritto le conseguenze del blocco degli aiuti alla frontiera della Striscia. “A partire dal terzo mese le forniture hanno cominciato a scarseggiare in maniera drammatica”, mentre i pazienti erano assistiti a terra e, nel caso dei bambini, anche tre in un solo letto. “Avevamo solo anti infiammatori per i dolori post-operatori ed è finito il fentanyl, per cui abbiamo fatto gli interventi con pochissima morfina e riutilizzando le siringhe”.
Incertis ha raccontato anche che quando è stata aperta la Gaza Humanitarian Foundation (sostenuta da Israele e Usa), i medici hanno cominciato a ricevere “molti pazienti, fra i quali bambini, con spari alla testa e al torace, alcuni anche ai genitali”. “Abbiamo cominciato a vedere un modello di intenzionalità. Sembrava che ci fosse qualcuno che si divertiva a giocare al tiro al piccione”, ha aggiunto il medico volontario, con la voce rotta dall’emozione. Anche per il ricordo dei “tanti colleghi che hanno perso tutti i loro figli” nel conflitto.
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