L’ex fantasista di Parma e Atalanta oggi ha un ristorante e nessun rimpianto: “Ero poco professionale, non mi piaceva correre. All’Inter mi dispiace di aver fatto arrabbiare Moratti. Ghirardi mi ha deluso ma il tempo è stato galantuomo…”

Lorenzo Cascini

24 novembre 2025 (modifica alle 09:09) – MILANO

Se è vero che ogni giallo che si rispetti esige un omicidio, quella di Domenico Morfeo è una storia senza lieto fine che lascia spazio solo ai rimpianti. Come se fossimo ancora in attesa di un finale, di un omicidio appunto. Morfeo aveva un sinistro che cantava, era dotato di una classe incredibile e sarà per sempre colpevole di averci illuso di poter segnare un’epoca. “Non sono mai stato un professionista. Mi fossi allenato bene e avessi avuto un’altra testa, chissà…”. Invece resterà un grande “What if”, un rammarico di tutto quello che poteva essere e non è stato. Nel vederlo giocare si aveva la sensazione di avere davanti un genio che stava troppo stretto dentro una lampada, un giocoliere dal grande talento che non riusciva a esprimersi a pieno. È stato un enfant prodige per tutta la vita, caricandosi sulle spalle la responsabilità di una promessa che non ha mai mantenuto. Oggi gestisce un ristorante a Parma, è felice e quando si apre si racconta a 360 gradi, mostrandosi per come lo abbiamo visto in quindici anni di carriera: vero, diretto, uno che ti dice in faccia cosa pensa e non va per il sottile. Si spazia da Adriano a Gilardino e Prandelli fino alla dieci dell’Inter e il suo cuore diviso tra Bergamo e Parma.

Morfeo, partiamo dai rimpianti. Ne ha qualcuno?

“Mi dispiace non essere sempre stato un professionista. Avessi avuto un’altra testa, chissà dove sarei arrivato. Mi è mancato quello, non mi piaceva correre né allenarmi”. 

Nel 1996 contro la Spagna segnò il rigore decisivo per vincere l’Europeo Under 21: in Serie A, al tempo, la volevano tutti.

“Giocavo con incoscienza, per me è stata croce e delizia. Oggi forse gestirei tutto diversamente. Il calcio è stato il mio migliore amico, mi ha permesso di avere tutto quello che ho oggi, ma anche un nemico per alcune situazioni vissute”. 

“Ho litigato con tanti, direi quasi con tutti. Quello del pallone è un mondo senza amicizie, fatto di rapporti di convenienza. Se devo fare un nome, di chi mi ha davvero deluso, dico il presidente del Parma Ghirardi. Io sarei sceso anche in B, lui invece mi ha fatto la guerra. Ma il tempo è galantuomo… si è visto che persona era”. 

A Parma si è visto il miglior Morfeo?

“Sì, mi sono sentito forte dove sono stato libero di essere me stesso. A Parma, a Bergamo, a Verona. Diciamo che non amavo le imposizioni tattiche”. 

Se potesse spendere un grazie?

“Lo direi a Prandelli. Mi ha fatto esordire, è stato un secondo padre. Un allenatore preparatissimo, capace, intelligente. Il migliore mai avuto e uno dei migliori in Europa in assoluto”. 

In carriera ha fatto da spalla a tanti grandi centravanti. Un flash per ognuno. Gilardino?

“A Parma con Gila ci siamo divertiti. Pensi che in allenamento non lo voleva nessuno, non segnava manco con le mani. Poi si fece male Adriano e lui iniziò a buttarla dentro a raffica. Quanti assist gli ho fatto…”. 

Adriano l’ha nominato lei. Siete stati insieme sia a Firenze che a Parma.

“Un animale. Per me il più forte mai visto. Io e Adri eravamo legatissimi. Lo portai al mare da me a San Benedetto dei Marsi e in un bar vedemmo dei signori anziani che sbattevano le carte. Così mi disse ‘al primo gol che faccio esultiamo cosi’. Segnò subito e festeggiammo in quel modo”.

Si dice che Inzaghi le diede 5 milioni dopo aver vinto la classifica cannonieri con l’Atalanta nella stagione 1996-1997.

“Che fatica vedere Pippo tirare fuori i soldi… diciamo che era un po’ tirchio. Ma a Reggio, prima dell’ultima partita, mi disse che se lo avessi aiutato a vincere la classifica dei cannonieri mi avrebbe dato 5 milioni di lire. Segnò due gol e mi staccò l’assegno in spogliatoio. Portai a cena tutta la squadra, sono sempre stato generoso”.

A Firenze le diedero ‘maglie della vergogna’, con la scritta ‘indegno’ e la € di Euro al posto del giglio. Lei, anche lì, rispose per le rime…

“L’importante è non abbassare mai la testa. Non avevano capito niente, mi accusavano di non impegnarmi e di voler mettere in mora la società. C’era persino chi diceva che mi inventassi gli infortuni…”. 

Si dice che all’Atalanta si guadagnò una maglia da titolare colpendo un albero per tre volte di fila…

“Prandelli mi disse che se lo avessi preso voleva dire che stavo bene e avrei potuto giocare. Mi portò su una collinetta e mi sfidò. Vinsi io”. 

All’Inter che cosa non è andato?

“Eravamo una grande squadra, personalmente ho fatto gol in Champions e credo di aver fatto il mio. Però si, ero il numero dieci e potevo fare di più. So di aver fatto incazzare Moratti, si aspettavano tutti molto da me”. 

Pensa che le sia mancato qualcosa?

“Avevo le qualità per essere titolare in Nazionale, non ho avuto la testa. Poi a un certo punto il resto aveva preso il sopravvento sul calcio e sulla mia voglia di giocare, così ho smesso. Non mi divertivo più. Oggi gestisco il mio ristorante a Parma e sono felice, la vita non finisce con il calcio”. 

Invece in Nazionale maggiore non ha mai nemmeno esordito…

“Ai miei tempi c’era molta concorrenza, ma mi dispiace non aver mai debuttato. Giocassi adesso farei altre scelte, senza perdere però la mia identità e il mio modo di essere. So di non aver sfruttato a pieno il talento che avevo”.

“No, anzi mi fa schifo quello che vedo. Non tornerei mai. Lo trovo un mondo falso”.