di
Aldo Cazzullo e Roberta Scorranese

La presentatrice tv: «Jerry Calà era gelosissimo di Renzo. L’amore della mia vita? Mio marito Nicola Carraro»

Mara Venier, chi è stato il suo maestro? 
«Non saprei. Ne ho avuti tanti».

Arbore? 
«A dire la verità, quando eravamo fidanzati non pensavo di fare la televisione. Quindi, non può dirsi un maestro. Però un giorno fu lui a dirmi una cosa che mi cambiò la vita».



















































Quale? 
«Era il 1993, non sapevo se accettare o meno la conduzione di “Domenica In”. Eravamo in cucina, lui affettava le cipolle. Entrai struccata, in jeans e con i capelli raccolti con la pinza. Lui mi guardò e disse: “Ecco Mara, sii così, niente di più, niente di meno”. Capii. Potevo avere successo se fossi rimasta me stessa».

Quella in corso è la sua diciassettesima «Domenica In». Quando ha capito di avere raggiunto il successo? 
«Mai. Neanche adesso».

Perché? 
«Perché io in fondo un po’ sono rimasta la ragazza di Venezia, cresciuta a Mestre, che nel ’68 venne a Roma per cantarle al marito».

Era fuggito. 
«Francesco Ferracini, bello e sfuggente. Ci conoscemmo nel bar principale di Mestre, un amore fulminante. Rimasi incinta. Ci sposammo e lui se ne andò la sera stessa delle nozze».

Voleva fare l’attore? 
«Lasciò me e Elisabetta, nostra figlia, che sarebbe nata poco dopo. Andò a Roma. Aspettai a lungo, ma Mestre era diventata un inferno: per strada mi guardavano tutti, i miei genitori erano disperati. Sei mesi, un anno, poi salii su un treno. Alla stazione Termini mi venne a prendere in Rolls Royce. Con lui c’era Roberto Capucci, lo stilista».

Mara Venier: «Don Mazzi mi sgridava se ero troppo scollata. Il figlio perso con Arbore un grandissimo dolore»

Lei voleva fare l’attrice? 
«Macché, io volevo solo parlare con mio marito. Non avevo un quattrino, ma Capucci mi disse che potevo fare la modella per centomila lire al giorno. Seicentomila alla settimana, mai visti prima. Sono pur sempre figlia di un ferroviere».

Rimase a Roma per questo? 
«No. Fu il tramonto sul Pincio a farmi innamorare».

I servizi fotografici per «Harper’s Bazar», le sfilate. 
«Presi in affitto una casa sull’Aurelia. Francesco, dopo, venne a stare da me, ma vi dico solo che, nel corso della nostra storia, negli anni, ci sono stati periodi in cui io ho dormito sul divano: era chiaro che ad un certo punto lui aveva altre donne».

La tv era ancora lontana. 
«Prima venne il cinema: accompagnai Francesco a fare un provino per Diario di un italiano, il film tratto da un racconto di Vasco Pratolini. Andò a finire che presero me, nel ruolo di Vanda».

Lei quindi nasce come attrice? 
«Macché, io nasco come “stracciarola di Campo de’ Fiori”».

Racconti. 
«Feci venire a Roma mia madre per aiutarmi con la bambina. Con Ferracini finì, conobbi Pier Paolo Capponi. L’opposto di Francesco: attore, intellettuale, impegnato. Cominciai a frequentare la Roma di sinistra. Moravia, Morante, Maraini. Diventai così amica di Gabriella Ferri. Aprii un negozio di vestiti usati».

A Campo de’ Fiori. 
«Vicino alla libreria “Il tempo ritrovato”, dove si radunavano gli intellettuali. Così chiamai il negozio “Il tempo perso”. Gabriella era come una sorella, lei cresceva Paolo, il mio secondo figlio, e io crescevo il suo, Seva».

Erano gli Anni Settanta. Gabriella Ferri era una militante. 
«Diventai femminista grazie a lei. Volevamo la Casa delle Donne a Roma, così occupammo la vecchia Pretura. Tre giorni sulle barricate, i bambini stavano con noi. Poi un giorno arrivò il marito di Gabriella: “Dove stanno mia moglie e mio figlio?”, urlava. Apriti cielo: le femministe lo riempirono di botte. Allora intervenni: volevo troppo bene a quell’uomo e a Gabriella. Prendemmo i bambini e uscimmo anche noi».

Gian Maria Volonté lo ha conosciuto? 
«Sì, ma soprattutto siamo stati amici di suo fratello, Claudio. Un uomo sensibile, problematico. Un giorno, non è ancora chiaro come, uccise un uomo. Fuggì, poi si costituì. Finì in cella e si tolse la vita. Tre giorni dopo la sua morte, noi amici ricevemmo una lettera: era di Claudio, supplicava “Non lasciatemi solo”».

Gian Maria com’era? 
«Non l’ho frequentato davvero, più che altro dopo la morte di Claudio io e Capponi siamo diventati amici della loro madre, abbiamo trascorso assieme qualche vacanza a Fregene. Invece si andava spesso a casa di Claudio, a Capena, dove lui aveva voluto una specie di comune. Si discuteva di politica, ci si passava lo spinello. Una sera mia madre si trovò insieme a noi, seduti in cerchio sul pavimento. Qualcuno le passò una canna. “Che xe?”, chiese spaventata. “Mamma”, risposi in veneziano, “tasi e fuma se no i se offende”».

Come andò a finire? 
«Che da allora chiedeva sempre di poter uscire con noi».

A Venezia lei è rimasta poco. 
«Papà faceva il fruttivendolo, lo chiamavano el Toto de Rialto. Sono nata a Cannaregio. Poi mio padre trovò un posto in ferrovia, e ci trasferimmo a Mestre».

Tinto Brass l’ha mai incontrato? 
«Una volta andai a fare un provino per un suo film. C’erano lui e la moglie, Tinta, cioè Carla Cipriani. Fu lei che, a un certo punto, mi disse: “Facci vedere le tette”. Io risposi: “Manco per sogno”. E tutto finì lì».

Lei ha una sorella, vi vedete spesso? 
«No perché io per anni, dopo la morte di mia madre, non sono riuscita a tornare a Mestre. L’ho fatto solo di recente, per una festa con Al Bano e altri amici dello spettacolo. Ho fatto pace con il passato, però ci sono tanti ricordi. Da ragazza mi ero fidanzata con un principe».

Chi? 
«Sebastian von Fürstenberg, il nipote di Agnelli, figlio di sua sorella Clara. Veniva a prendermi su una Balilla Coppa d’Oro al palazzo dei ferrovieri di Mestre. Una macchina così che entrava nel cortile del cubo di cemento dove abitavano decine di famiglie per lato. Lui faceva tu-tu col clacson e centinaia di teste si affacciavano alla finestra».

Dove andavate? 
«Una volta mi invitò nella sua dimora di famiglia, Villa Fürstenberg sul Terraglio. Panico: non sapevo che cosa mettermi. Mamma Elsa faceva la sarta: si svenò per comprare uno scampolo di vellutino a coste, color arancio vivo. Mi cucì un tailleur elegantissimo e arrivai alla villa. Era pieno di ragazzi scatenati: non feci in tempo a mettere piede in casa che mi buttarono in piscina».

Addio tailleur. 
«Il principe mi prestò una camicia e dei pantaloni. Tornai a casa in lacrime. Mamma mi riempì di botte: “Così te impari a andar col principe”».

Un altro ricordo di Mestre. 
«Il bar Fontanella, dove ci ritrovavamo noi ragazzi. Avevo sedici anni, facevamo lo struscio tra la piazza e il bar. Io lavavo i capelli da un parrucchiere: ero l’unica che guadagnava qualcosa, pagavo il gelato a tutti. Un giorno nel bar entrò una ragazza di una bellezza mozzafiato: alta, magra, biondissima, orecchini lunghi e neri. Io chiesi: “Ma chi è?”. E un amico: “Ma come, non lo sai? È Guy Magenta, la cantante”».

Chi? 
«Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo. Ma all’inizio si faceva chiamare Guy Magenta. Ancora oggi quando ci vediamo la prendo in giro e la chiamo Guy Magenta. Lei ogni volta alza gli occhi al cielo».

Mara Venier: «Don Mazzi mi sgridava se ero troppo scollata. Il figlio perso con Arbore un grandissimo dolore»

Siete amiche? 
«Molto. Ho imparato a selezionare le persone care».

Renzo Arbore, Jerry Calà: gli amori storici della sua vita erano più divertenti che belli. 
«Con Jerry si rideva tanto. Era ironico e infedele. Se ne andava e tornava. Mi tradiva e poi si ripresentava come se niente fosse. Io ero per lui una mamma che lo perdonava sempre».

Era geloso? 
«Solo di Renzo».

Ma Arbore sarebbe venuto dopo. 
«Sì, ma con Renzo c’era stata una storiella, anni prima. Jerry diventava matto quando sentiva nominare Arbore. Per farlo ingelosire facevo telefonare a casa nostra da un amico che sapeva imitare la voce di Renzo. Calà andava a rispondere e lo vedevo diventare verde».

E così tornava da lei. 
«Poi con Renzo ci mettemmo insieme sul serio. Jerry non l’ha mai digerita».

Mara Venier: «Don Mazzi mi sgridava se ero troppo scollata. Il figlio perso con Arbore un grandissimo dolore»

Era il 1986. L’anno dopo «Quelli della notte», trasmissione leggendaria. 
«Ma negli anni della nostra storia non avevo in mente di fare la televisione, anzi. Restavo sempre un passo indietro. E poi non sopportavo le Ragazze Coccodè, quelle di “Indietro tutta”».

Renzo aveva tante fan? 
«Erano ossessionate da lui, ce le ritrovavamo sotto casa. Renzo era spesso via, ma una volta, anni dopo, mi portò con sé in America in una tournée con l’Orchestra Italiana. Io mi sentivo importante: invitai all’evento Ben Gazzara, Anthony Quinn, tutti miei amici. Poi a tavola scoprii che non c’era il posto per me».

Mara Venier: «Don Mazzi mi sgridava se ero troppo scollata. Il figlio perso con Arbore un grandissimo dolore»

Arbore era geloso? 
«Sì. Quando ci mettemmo insieme ruppi tutti i ponti con il passato e per anni non ho sentito nessuno dei miei ex. Poi, però, arrivò Luca Giurato. E la mia vita cambiò».

Giurato conduceva «Domenica In». Era il 1993. 
«Diede un’intervista al Corriere della Sera: “Mi piacerebbe lavorare con Mara, quella ragazza molto brava, con delle belle gambe” dichiarò. La cosa mi sorprese. Prima di allora avevo lavorato poco in televisione».

I programmi sperimentali con Nanni Loy, qualche trasmissione sull’allora Fininvest. 
«Con Renzo andammo a cena da Mimma Gaspari, zia di Valeria Golino. Incontrammo Luca Giurato, che ringraziai per le parole di apprezzamento. Mi affidò il Cruciverbone dentro Domenica In: in genere venivano reclutate le ventenni, io avevo più di quarant’anni. Ma andò bene. Ero fortemente sponsorizzata da Monica Vitti, che era nella squadra dei conduttori».

E così arrivò la svolta. 
«Domenica In 1993-94 stava per partire, ma c’era un problema, anzi ce n’erano tre: Giurato voleva occuparsi solo di attualità, Monica Vitti di cinema e don Mazzi di sociale. “Scusate, ma allora chi guida la squadra?”, chiesi».

Mara Venier. 
«Affiancai Giurato e cominciò l’avventura. Io sono cresciuta in Rai, appartengo alla Rai. Certo, è anche vero che con quello che ho guadagnato nei pochi anni trascorsi a Mediaset mi sono comprata questa casa» (dalla terrazza nel ghetto si vede tutta la città, dal Cupolone al Gazometro).

Silvio Berlusconi la voleva sindaca di Venezia. 
«Ma mi corteggiò a lungo per farmi trasferire a Mediaset. Ricordo che i politici facevano la fila per farsi intervistare da me, con vigorose proteste dell’Ordine dei Giornalisti».

Torniamo al 1995, l’anno dopo la «discesa in campo». Come andò con il Cavaliere? 
«Preparai l’intervista a Berlusconi con rigore: domande in busta chiusa, scritte dai direttori delle maggiori testate italiane, compreso Eugenio Scalfari. Il suo entourage ci provò in tutti i modi, ma io le domande a Berlusconi le feci leggere solo durante la diretta. Il tempo era uguale per tutti, 25 minuti».

Il Cavaliere lo rispettò? 
«Sì, ma alla fine mi chiese, con il suo fare gentile, se poteva raccontare una barzelletta. Acconsentii: peccato che durò altri 25 minuti. Gli dissi: “Lei lo sa che io adesso verrò licenziata?”. Lui non fece una piega: “Da noi la aspettiamo con il tappeto rosso”».

Dal ’97 al 2000: tre anni a Mediaset, poi il ritorno a casa. A fare grandi interviste. 
«Mi mandarono a incontrare Glenn Ford. Non ci credevo: Gilda è il mio film del cuore. Los Angeles, una villa gigantesca ma vuota, silenziosa, cupa. Un ritratto di Rita Hayworth al muro e, sotto, una rosa fresca: l’attore che aveva recitato con lei nel film ne deponeva una al giorno. Nessuna traccia di Ford. Aspettai tre ore, poi mi dissero che lui mi voleva in camera. Entrai: puzza di alcol, un letto sfatto e lui che farfugliava qualcosa tra le lenzuola. Un uomo disperato. Me ne andai, piena di tristezza».

Sharon Stone. 
«Las Vegas, Caesars Palace. Lei era al suo splendore e stava girando Casinò di Martin Scorsese, con Robert De Niro. Lo staff americano era stato perentorio: solo venti minuti di intervista. C’erano tutte le tv del mondo. Finì che passammo oltre due ore a parlare di scarpe, gioielli e vestiti. Voleva le mie scarpe, ma non le regalai a lei, le regalai a Cameron Diaz, qualche anno dopo, in diretta televisiva».

Tony Curtis. 
«Prima dell’incontro mi dissero: attenzione, lui non parla mai del suo privato. Finì che mi raccontò la sua depressione nei minimi dettagli. Poi mi invitò a cena».

«Domenica In» e i grandi amici: don Antonio Mazzi
«Mi sgridava quando vedeva un bottone aperto sul davanti. Che cazziatoni mi ha fatto. Ora che ci penso, Biagio Agnes quando la camicetta si apriva troppo chiamava Renzo e gli diceva: “La tua fidanzata è troppo scollata”».

Mara Venier: «Don Mazzi mi sgridava se ero troppo scollata. Il figlio perso con Arbore un grandissimo dolore»

L’anno prossimo lei e suo marito, Nicola Carraro, festeggerete vent’anni di matrimonio. 
«Nicola è il vero grande amore della mia vita. Ci fece incontrare Melania Rizzoli, combinò tutto lei, però in questa storia c’entra anche Edwige Fenech».

Come mai? 
«Edwige è una delle mie amiche più care. C’è stato un periodo, dopo la mia rottura con Renzo, che io e lei frequentavamo la stessa cartomante. Una gattara di Roma, ci andavamo quasi tutte le settimane. Una volta lei mi disse: “L’amore della tua vita deve ancora arrivare. Vedo che sarà quello giusto e vedo anche che ci saranno mare, isole e viaggi”. Mi convinsi che mi sarei fidanzata con un tour operator. Per qualche mese quando mi capitava di uscire con qualcuno chiedevo sempre: “Ma tu lavori in un’agenzia di viaggio?”. Se rispondeva no, smettevo di vederlo».

E Nicola Carraro, editore e produttore cinematografico, che c’entrava? 
«Lui all’epoca abitava in un’isola dell’arcipelago delle Turks e Caicos. Quando trascorremmo insieme la prima sera, tra chiacchiere e risate complici, non collegai subito le due cose. Poi, però, quando mi accorsi che con lui stavo bene, ringraziai dentro di me la maga».

Un poco oggi con Renzo vi amate ancora? 
«No, oggi per me esiste soltanto mio marito. Con Renzo, certo, ci siamo lasciati amandoci. Ci siamo lasciati perché ci eravamo allontanati, non perché l’amore fosse finito. Per anni, dopo la rottura, lui non ha voluto vedermi. Oggi ci parliamo».

Con Arbore poi avete vissuto un grande dolore, la perdita di un bambino a cinque mesi e mezzo di gravidanza. 
«Sì, è stato un grandissimo dolore».

Ha sempre avuto familiari e amici vicino? 
«Nel corso degli anni mi sono creata una rete di amici che spesso mi è stata accanto, con alti e bassi. Oggi riconosco il valore dell’amicizia: sia io sia Nicola abbiamo passato momenti difficili per la salute, come tutti del resto. E se è vero che in tanti si sono dileguati, è anche vero che molti sono rimasti».

Chi le è rimasto accanto? 
«Gli amici veri, Patty Pravo, Alberto Matano, Simona Ventura. Però oggi ho imparato una cosa fondamentale: ho imparato a stare anche da sola».

24 novembre 2025