di
Mara Gergolet
Dopo ore tesissime («i negoziati sono stati appesi a un capello»), i messaggi emersi da una notte di trattative sembrano segnare un deciso passo avanti. E Kiev annuncia: «C’è un nuovo piano in 19 punti, ora Trump e Zelensky parleranno dei dettagli più delicati»
DALLA NOSTRA INVIATA
GINEVRA – Nella notte, dopo quattro anni, pare finalmente che ci sia una prima svolta nella guerra in Ucraina. Lo stallo, il ghiaccio pare rotto. Gli americani e gli ucraini fanno una dichiarazione comune, in cui affermano che si sono compiuti progressi «enormi».
Poi il segretario di Stato americano, Marco Rubio, che guida la delegazione qui, aggiunge: «Mi sento molto ottimista sul fatto che ci arriveremo in un periodo di tempo molto ragionevole». E ancora: «Non voglio dichiarare vittoria, o parlare già di conclusioni, qui. C’è ancora del lavoro da fare». Aggiunge che il testo finale dell’accordo avrà bisogno dell’approvazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e di Donald Trump prima di essere inviato a Mosca.
«Le discussioni hanno mostrato progressi significativi verso l’allineamento delle posizioni e l’identificazione di chiari passi successivi. Hanno ribadito che qualsiasi futuro accordo dovrà rispettare pienamente la sovranità dell’Ucraina e garantire una pace sostenibile e giusta».
E nel pomeriggio di lunedì arrivano – anticipate dal Financial Times – anche le dichiarazioni ucraine: certo, all’inizio le discussioni con gli americane sono state molto tese («i negoziati sono stati appesi a un capello»), ma si è arrivati alla definizione di un nuovo piano, in 19 punti; e alla discussione tra Trump e Zelensky viene demandata la risoluzione di punti delicatissimi, dalla definizione delle cessioni territoriali a quella dei rapporti con la Nato.
Ginevra, l’inizio della fine della guerra, forse, come tutti sperano. Dipende da come proseguiranno i colloqui, ma quello che pare certo è che — dietro l’ultimatum americano, dietro il soccorso europeo agli ucraini, dietro questi incontri ginevrini che si svolgono tra l’hotel Intercontinental e la missione americana — un meccanismo si è messo in moto.
E come osserva Gideon Rachman, il commentatore principe del Financial Times, rispetto al «patto Witkoff-Dmitriev», se è vero che la bozza era inaccettabile per gli europei e per Kiev, è vero anche che gli ucraini, sfiniti e sfibrati dall’aggressione, hanno interesse a una pace che non li svenda e non li faccia capitolare.
L’interminabile giornata di domenica: dalla lite all’intesa
Quella di domenica è stata una giornata interminabile. Da una parte Rubio, il segretario di Stato americano, forse vittima di un’imboscata interna. Dall’altra Andriy Yermak, il capo dello staff presidenziale, mandato qui da Zelensky: che l’Ucraina sia guidata, nell’ora più difficile, da «cervello» politico lambito dallo scandalo corruzione, mostra in che condizioni negozia Kiev. Con una palla al piede, almeno una mano dietro le spalle, ma alternative migliori non ce ne sono.
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L’Europa è presente con i consiglieri di sicurezza nazionale dei maggiori Paesi: a fare da consulenti, e sostenere l’Ucraina. A riscrivere la bozza, sulla quale Usa e Ucraina trattano.
Nel pomeriggio di ieri, il primo segnale positivo. I giornalisti vengono invitati nella missione americana, dove Rubio e Yermak fanno le prime dichiarazioni.
Marco Rubio: «È l’incontro più significativo finora». Andriy Yermak: «Abbiamo fatto ottimi progressi. Ci muoviamo avanti verso una pace giusta e duratura». Parlano davanti a due grosse bandiere alle spalle, una americana, l’altra ucraina, assicurano che tutto procede bene. È la faccia positiva, ottimistica che mostrano alle telecamere.
Ma quanto era diversa la faccia tesa di Marco Rubio, il segretario di Stato americano, le labbra serrate, il passo veloce per evitare le domande, quando appena un’ora prima usciva dalla hall dell’Intercontinental. È in questo chilometro, tra l’albergo dei grandi negoziati Onu e la missione Usa, con vista sul lago, che si prova a ricucire lo strappo.
Nell’albergo ci sono i top player diplomatici europei: Jonathan Powell (GB, l’uomo della pace in Irlanda del Nord); Emmanuel Bonne, consigliere di Macron; Günther Sutter, il nerd diplomatico di Merz, che vedono subito gli ucraini. Per l’Italia, li raggiunge il consigliere diplomatico di Meloni, l’ambasciatore Fabrizio Saggio. Presente Björn Seibert, il braccio destro di Ursula von der Leyen.
Mentre Rubio, dicevamo, usciva scuro dall’albergo, Donald Trump dall’America tuonava: «LA “LEADERSHIP” UCRAINA NON HA ESPRESSO ALCUNA GRATITUDINE PER I NOSTRI SFORZI, E L’EUROPA CONTINUA A COMPRARE PETROLIO DALLA RUSSIA». Dunque, come sono andati davvero i negoziati? Barak Ravid di Axios, l’uomo che ha fatto lo scoop sul piano Witkoff-Dmitriev in 28 punti, uno dei giornalisti meglio informati d’America, sostiene che in stanza tra gli americani e gli ucraini la tensione era alta, che si è litigato per ore. Però, l’importante era mostrare unità. E la sera — e questo doveva essere un segnale di svolta, del clima costruttivo che si stava creando — le due delegazioni sono state viste cenare insieme al ristorante italiano «Il Lago».
Ha capito l’antifona, nel pomeriggio, a Kiev anche Zelensky, che ha prontamente reso grazie — memore dell’umiliazione alla Casa Bianca — al presidente americano: l’Ucraina è «grata agli Stati Uniti, a ogni cuore americano e personalmente al presidente Trump per l’assistenza». E poi: «l’America ci ascolta».
È il copione da ripetere a ogni interazione con Trump. Tutti si adeguano. Però Ginevra è l’ultima spiaggia per tanti attori: Zelensky; l’Europa; e perfino Rubio. Non si tratta di forma, ma di sostanza.
L’affiancamento dell’Europa all’Ucraina
E la sostanza è che l’Europa ha affiancato l’Ucraina nel tentativo di ribaltare lo sbilanciamento filo-russo del patto Witkoff-Dmitriev. Partendo dal testo dei 28 punti e riscrivendolo. La bozza europea, diffusa da Reuters, corregge due punti chiave per Kiev: porta il limite dell’esercito ucraino a 800.000 unità (sarebbe il maggiore d’Europa); e chiede il cessate il fuoco sulle linee attuali del conflitto, demandando a dopo la discussione sui territori.
L’Europa invece ha preteso lo stralcio della questione degli asset russi congelati (che secondo Bloomberg è svanita, in effetti, dal «nuovo» piano in 19 punti); ha chiesto per l’Ucraina garanzie stile articolo 5, che era un’idea italiana; vuole che nulla della sicurezza europea si discuta senza gli europei. Cose ovvie nell’America di un tempo, conquiste da strappare con i denti in quella di Trump.
Infine, Marco Rubio: ieri sedeva a centrotavola, con Witkoff alla sua destra e Dan Driscoll (l’uomo di JD Vance ) a sinistra a ripristinare la propria autorità. Cosa sapeva dei 28 punti? Nulla fino all’ultimo? Le clamorose smentite e gaffe (Rubio avrebbe detto a senatori repubblicani che il piano l’avevano scritto i russi) hanno svelato al mondo la guerra tra bande alla Casa Bianca. Però Rubio è anche il migliore, forse l’unico alleato su cui possono contare gli europei e gli ucraini. E rientrato in sella, sembra condurre i giochi.
24 novembre 2025 ( modifica il 24 novembre 2025 | 17:02)
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