di
Marco Imarisio
La tattica di Kiev secondo l’ex consigliere di Putin: «Il piano che Zelensky sta sviluppando con i leader europei è tutt’altro che stupido»
«Altro che prendere o lasciare entro il 27 novembre, sarà ancora lunga. E potrebbe anche non finire». Sergei Markov non è Frate Indovino, non ci somiglia neppure, né per fisico né per indole, quest’ultima tutt’altro che pacifista. Ma il docente, politologo e consigliere di Vladimir Putin dal 2011 al 2019, ci prende spesso.
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Tanto per fare un esempio, subito dopo il vertice di agosto in Alaska, fu il primo a dire che non ne sarebbe venuto fuori niente, che Donald Trump avrebbe lasciato alla Russia il tempo di avanzare sul campo, o almeno di provare a farlo, e poi si sarebbe fatto avanti con nuove proposte che non sarebbero dispiaciute al Cremlino.
Sono passati tre mesi che sembrano anni. Nel frattempo, Markov è stato etichettato come agente straniero per via dei suoi rapporti con l’Azerbaigian poco amato dal suo ex datore di lavoro, e continua a dare interviste ai media Usa, arabi ed europei nelle quali fa ricorso alla sua visione improntata a una realpolitik rafforzata da un certo cinismo. «Il piano che Volodymyr Zelensky sta sviluppando insieme ai leader europei è tutt’altro che stupido».
Come andrà a finire questa volta?
«Tutti faranno pressioni sugli Usa. E dall’interno, Marco Rubio e i repubblicani legati all’industria militare faranno pressioni su Trump, dapprima per prolungare i negoziati, poi per cambiarli rafforzando i punti dell’attuale piano contrari alla Russia».
Davvero ce ne sono?
«Io ho sempre sostenuto che la demilitarizzazione e la denazificazione sarebbero rimaste come rivendicazione, ma che Putin su quei due temi era tutt’altro che rigido. Mi sembra che stia andando così».
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L’imposizione delle elezioni in Ucraina entro cento giorni non significa imporre anche la fine di Zelensky?
«Anche Trump è convinto che Putin odi Zelensky. Ma io garantisco che vi sbagliate, tutti. Lo disprezza, cosa diversa dall’odio. Non gli riconosce alcuna legittimità. E poi andiamo, lo sanno tutti che dopo Zelensky, e dopo quello che è successo, verrà qualcuno peggio di lui, che odia la Russia ancora di più. Da questo punto di vista, la speranza di molti a proposito del ritorno dell’Ucraina sotto la nostra sfera di influenza non è più attuale».
Le pressioni di cui lei parla avranno successo?
«Zelensky sta chiamando tutta l’Ucraina a unirsi intorno a lui, per scongiurare il piano giudicato “filorusso” così com’è, e al tempo stesso far dimenticare lo scandalo della corruzione che lo ha colpito. Poi farà lavorare l’Europa per fare in modo che la squadra di Trump porti a Mosca un piano di pace rivisto e corretto con punti che non piaceranno a Putin. E dopo il nostro rifiuto, tutti insieme chiederanno a Trump di aumentare le forniture di armi all’Ucraina e nuove sanzioni contro la Russia. Ha una sua logica, niente da dire».
Quali sono i punti non negoziabili per la Russia?
«Ce n’è uno di cui nessuno parla e che mi sembra già sparito dalla controproposta europea: il riconoscimento statale della lingua russa in Ucraina. Gli occidentali lo vogliono escludere di default. Forse perché sanno che Putin non ci rinuncerà mai, e quindi il negoziato fallirà».
Trump cosa farà?
«A me sembra che si stia ripetendo quanto accaduto durante il suo primo mandato. So per certo che anche il Cremlino propende per uno scenario che vede il presidente americano neutralizzato, o comunque ostaggio del suo cosiddetto Deep State. Ma se anche questa volta non si arriva a nulla, lascerà l’Europa da sola ad occuparsi di Ucraina. In fondo, è quello che vuole Putin, per ottenere una vittoria piena. E non mi sembra che i vostri leader abbiano molta voglia di gestire questa faccenda in autonomia. Come vede, tutto sta oscillando, da una parte e dall’altra».
Quali sono i veri sentimenti di Putin verso gli Usa?
«Non sta investendo molto sul rapporto con Trump. Cerca di non offenderlo. Io ho proposto di nominare 2-3 laudatores a tempo pieno che di mestiere elogeranno il presidente Usa. C’è Dmitriev che lo sta già facendo, ne serve qualcun altro. Ma poco più di quello. Esiste un atteggiamento fortemente negativo del nostro popolo nei confronti degli “yankees”. Le assicuro che al Cremlino fanno molta attenzione agli umori della società. Quindi, mai amici con gli Usa».
A seguire il suo ragionamento, perché allora Putin mostra questo disprezzo nei confronti dell’Europa?
«Certo, la nostra società continua a guardare con favore verso l’Europa. Infatti, quando sarà finita la guerra, e quando i vostri capi smetteranno di dire che vi vogliamo aggredire, sarà naturale e molto più facile migliorare i rapporti con voi piuttosto che con gli Usa. Può sembrare un paradosso, ma è così».
25 novembre 2025 ( modifica il 25 novembre 2025 | 08:03)
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