Quintali e quintali di cocaina dal Sud America alla Lombardia. Tutta nascosta nei container tra merce di largo consumo (lecita, ovviamente). Carichi monstre: in due anni d’indagine sono stati stimati traffici per circa 3,5 tonnellate, di cui 400 chili sequestrati, pari a 27 milioni di euro. Nelle scorse ore sono però scattate le manette.
La guardia di finanza di Milano, su delega della procura, ha arrestato 28 persone (25 in carcere, tre ai domiciliari). Secondo inquirenti e investigatori, gli arrestati farebbero parte di un’associazione criminale armata legata alla ’ndrangheta della Locride che, con il supporto di esponenti della criminalità albanese, avrebbe, a vario titolo, promosso, diretto, finanziato, organizzato e gestito traffici internazionali di droga.
Tra le persone raggiunte dalle misure cautelari c’è anche un cittadino cinese accusato di riciclaggio. Secondo le forze dell’ordine, avrebbe agito come “cambista” e permesso all’organizzazione il pagamento di partite di stupefacente tramite il sistema di compensazione/trasferimento informale di valore noto come “fei eh ‘ien”.
Una fitta rete criminale
Secondo i detective l’organizzazione aveva costruito una vera e propria ragnatela logistica: il centro era in Lombardia, ma aveva ramificazioni in Germania, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Colombia e Brasile. Per coordinarsi veniva utilizzata un sistema di messaggistica critografata.
Durante le indagini sono state ricostruite diverse importazioni di “bianca” dalla Colombia e dal Brasile. Coca che, attraverso portacontainer, sbarcavano nei porti di Livorno, Rotterdam, Gioia Tauro e Le Havre. Importazioni che sfruttavano la tecnica del cosiddetto “rip-off” (gacho eiego), attraverso la quale i narcos inseriscono stupefacente all’interno dei container utilizzati per i trasporti commerciali leciti.
Il ruolo delle chat crittografate
Un ruolo determinante nella riuscita dell’indagine è stato svolto anche dalla collaborazione con Eurojust ed Europol, hanno spiegato le fiamme gialle. Grazie ai numerosi ordini europei di indagine è stato possibile acquisire le conversazioni scambiate sulle piattaforme di messaggistica crittografata. Questo materiale ha consentito di identificare con precisione i membri del sodalizio. Al vertice dell’organizzazione ci sarebbe un esponente della “famiglia Barbaro” di Platì (Reggio Calabria), in contatto con broker internazionali di origine albanese.