Il direttore delle Final 8: “Davis ogni due anni? No, meglio questo format. La coppa senza i big non è un problema perché ha sempre un grande fascino: si gioca per il piacere di farlo, non per soldi o punti Atp. È azzurro il modello da copiare”
Giornalista
25 novembre – 14:17 – MILANO
“Prima eravamo noi a dominare il tennis. Adesso il modello è l’Italia”. Lo dice con un misto di invidia e ammirazione Feliciano Lopez, l’ex numero 12 Atp che di quell’epoca d’oro del tennis spagnolo era uno degli esponenti e che, ora, fa il direttore della Final 8 di Coppa Davis. L’abbiamo incontrato a Bologna, tra una riunione e l’altra. Una conversazione a 360 gradi sulla racchetta: Alcaraz, Sinner, il caso calendario, il format dell’Insalatiera.
Si è chiuso il sipario sulla prima edizione delle finali in Italia. Lei è stato nominato dall’Itf direttore dell’evento proprio per il triennio assegnato al nostro Paese. Qual è il suo bilancio?
“Direi ottimo. È stata una vera e propria festa per tutto il tennis e specialmente per voi. Il riempimento dell’impianto è stato di oltre il 90% per tutta la manifestazione. E quando giocava l’Italia le tribune erano strapiene, con un tifo caldo ma sempre rispettoso. Abbiamo assistito ad alcune delle partite più emozionanti della stagione. Non potevamo chiedere di meglio”.
Beh, mancavano i primi due giocatori al mondo. E c’era solo Zverev tra i top ten.
“A parte il fatto che Alcaraz a Bologna ci è arrivato ma ha dovuto rinunciare all’ultimo per un infortunio, l’assenza dei migliori non è un problema della Coppa Davis. È un problema di tutti i tornei. Ci siamo abituati. Io dirigo anche il torneo di Madrid e, mi creda, pure i Masters 1000 soffrono lo stesso problema. Semplicemente perché il calendario è congestionato, la stagione è lunga, i ritmi del tennis moderno sono frenetici e i top player, non potendo giocare ovunque, si trovano a compiere delle scelte”.
Come si alimenta l’interesse di una competizione a squadre priva dei volti più riconoscibili?
“La Davis è speciale e sarà sempre importante per il nostro sport. I giocatori scendono in campo con la passione di rappresentare la loro nazione, e lo abbiamo visto a Bologna. Guardate cosa ha fatto il vostro Cobolli. I riscontri da parte dei giocatori, dei capitani, delle federazioni sono stati avvero ottimi. La Fitp ha svolto un lavoro straordinario. Dopo i tre anni a Malaga, siamo arrivati nel posto giusto: l’Italia è un Paese di grande tradizione e sta vivendo il miglior momento della sua storia”.
Qui il tennis, che era uno sport d’élite, sta facendo persino concorrenza al calcio.
“La Federazione ha avuto il merito di aver costruito un lavoro dalla base. Non c’è solo Sinner ma un movimento con 8-10 giocatori nei primi 100. Ricordo quando la Spagna aveva una presenza così numerosa nel ranking. Il segreto sta nel lavoro quotidiano. Il vostro è un modello di successo anche perché organizzate tantissimi Challenger: questo è un aiuto enorme per i giovani talenti che possono fare competizione senza dover spendere per le trasferte”.
Italia-Spagna vuol dire Sinner-Alcaraz.
“Questa rivalità è una benedizione per il tennis. Dopo l’era dei Big Three e il ritiro di Federer e Nadal, sono arrivati loro. Siamo fortunatissimi ad averli. Non sono soltanto due grandi campioni: è il contrasto di stili di gioco e di personalità a rendere speciale questo duello. Spero di averli entrambi a Bologna il prossimo anno. Sarebbe un grande momento, direi unico, per la loro rivalità: giocare la finale al Roland Garros o agli Us Open non sarebbe la stessa cosa che affrontarsi nella finale della Davis, in casa di uno dei due, con tutta la gente a fare il tifo”.
Loro però auspicano che la Davis si giochi ogni due anni. E la pensa così anche il presidente dell’Atp Gaudenzi. Cosa risponde?
“Ho un grande rispetto per loro e noi siamo sempre disponibili a dialogare con tutte le parti interessate. Abbiamo bisogno di tutti, anche dell’Atp, per avere successo. Ma ritengo che questo nuovo format, con le partite casa/trasferta durante l’anno e la Final 8, sia l’approdo migliore per la Davis. Non c’è molto altro da fare per aumentare la visibilità della competizione”.
Magari assegnando i punti Atp a chi vi partecipa?
“Non sono mai stato un sostenitore di questa proposta, e non lo dico da direttore della Davis ma da ex giocatore. Quando lo fecero con l’Atp Cup, io non ero d’accordo. Nelle competizioni a squadre non è corretto dare punti per la classifica. Quando giochi la Davis devi farlo per il piacere di rappresentare il tuo Paese, e non per i punti o per i soldi”.
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