di
Federico Fubini

I beni russi bloccati dai Paesi del G7 sono circa 300 miliardi di dollari, e tre quarti sono in Europa. Con i 140 miliardi di euro promessi dall’Ue Kiev potrebbe resistere per altri due anni. Per questo la priorità di Mosca ora è bloccare l’operazione. A tutti i costi

Comunque finisca il negoziato sull’Ucraina, le reti familiari saranno decisive. Donald Trump ha voluto che agli incontri di Ginevra con gli europei e la delegazione di Kiev andasse anche Jared Kushner. Il genero del presidente è fuori dall’amministrazione, eppure in questa partita non è il solo a muoversi libero dai vincoli di un ruolo ben chiaro. 

Anche la ragione che spinge Vladimir Putin ad affidarsi a Kirill Dmitriev è legata alle famiglie di entrambi, più che alla sua funzione di manager pubblico: Dmitriev ha sposato Natalia Popova, una presentatrice tivù amica e partner in affari della seconda figlia del presidente russo, Katerina Tikhonova.



















































Per questo l’arrivo di Kushner a Ginevra è la spia che quella di Trump non è una messinscena: il leader americano ora sta realmente cercando di mettere fine alla guerra in Ucraina. A Putin invece Dmitriev serve anche per seminare esche e trappole.

Prendete la vicenda delle riserve russe congelate nel 2022 dai Paesi del G7. Sono circa trecento miliardi di dollari, dei quali quasi tre quarti si trovano nell’area euro ed appena l’1,6% (cinque miliardi) negli Stati Uniti. I russi temono che il 17 dicembre i leader dell’Unione europea decidano di usare almeno 140 miliardi di euro (161 miliardi di dollari) di quei fondi per l’Ucraina. 

Oggi Kiev ha un fabbisogno di finanziamento ancora scoperto per 155 miliardi di dollari sul 2026 e 2027, secondo il Fondo monetario internazionale. Ma se l’Europa trovasse un sistema per trasferire all’Ucraina parte delle riserve russe congelate — come anticipo su future riparazioni — allora il Paese aggredito potrebbe continuare a produrre droni e resistere per almeno altri due anni. E non è scontato che il Cremlino possa continuare gli attacchi con l’intensità attuale per tutto questo tempo.

L’economia russa ormai è quasi ferma, l’industria civile in recessione, questo mese le entrate da petrolio russo viaggiano del 35% sotto ai livelli di novembre 2024 e il bilancio pubblico è così alla prova che il governo ha dovuto vendere (riservatamente, all’estero) 232 tonnellate d’oro del fondo sovrano.

Bloccare l’operazione europea sulle riserve congelate è dunque oggi una priorità del Cremlino. Qui entra in scena Dmitriev, con un’idea gettata nel «piano di pace» per allettare Trump: gli Usa potrebbero godere dei «profitti» di 100 miliardi di dollari delle riserve congelate del business della ricostruzione ucraina; con i restanti 200 miliardi delle riserve — recita la bozza russo-americana — si potrebbe lanciare un fondo in cogestione fra Mosca e Washington. 

«Questa è stata studiata come una grossa tentazione per l’amministrazione Trump» osserva Sergey Radchenko, storico della diplomazia della Johns Hopkins University.

C’è però un altro risvolto nella proposta di Dmitriev, perché rimettere in gioco le riserve russe nei negoziati con la Casa Bianca significa intralciare i piani europei. Già oggi in Italia e Francia non è più così chiaro che al vertice di Bruxelles di dicembre si debba decidere di mandare all’Ucraina quei fondi. Agathe Demarais, dello European Council on Foreign Relations, avverte che Trump ha i mezzi per forzare la mano: «Non è difficile immaginare che Washington ricorra a minacce sui dazi contro l’Ue per ottenere lo sblocco di quei fondi», osserva.

Niente di tutto questo rende di per sé i negoziati vuoti e finti. Molto si giocherà sulla pretesa russa che l’Ucraina abbandoni i 5.000 chilometri quadrati di Donbass che ancora controlla. Non tutti nelle delegazioni di Kiev sono parsi così chiusi all’idea, domenica a Ginevra, ma per Volodymyr Zelensky resta una concessione impossibile. «Dovrebbe cambiare la Costituzione — nota Radchenko — ed è irrealistico che il presidente possa vincere un referendum su questo». 

Molto dipenderà dalle garanzie di sicurezza che Usa ed europei dovrebbero offrire al Paese aggredito. Renderle credibili, dopo averle già date a vuoto nel 1994 a Kiev in cambio del suo totale disarmo atomico, non sarà un pranzo di gala.

25 novembre 2025