di
Valerio Cappelli

L’attrice francese al Torino Film Festival col documentario sula danza di cui è anche regista: «Sono pronta a girare un film. Odio la ripetitività»

TORINO Inevitabile parlare di questioni femminili, nella giornata contro la violenza sulle donne, quando si ha davanti una paladina come Juliette Binoche, intensa, istintiva, rigorosa, francese dalla testa ai piedi. Ha vinto tutto quello che un’attrice può vincere: Palma a Cannes, Coppa Volpi a Venezia, Oscar americano e Oscar europeo. Al Torino Film Festival porta il doc In-I In Motion.

È sullo spettacolo in cui danza con Akram Khan.
«Non diventerò una ballerina, ma ogni forma d’arte, se ci credi, è possibile. Fu Robert Redford a spingermi a farne un film. La prova fisica, a parte quella emotiva, un attore non la vive. Si crea un rapporto tra due persone che non si appartengono ma possono creare un’unione straordinaria. È il mio esordio alla regia, e mi sento anche pronta per girare un film».



















































Che storia cerca?
«Tutto dipende da quello che hai da dire e condividere. L’arte è dono di sé. Cercare di donarsi totalmente, anche inoltrandosi in zone dolorose. Ogni arte passa attraverso zone d’ombra e coscienza di sé. I film ci permettono di scoprire, attraverso una storia, che tutto è trasformabile, e questo ci rende più umani. La gelosia, l’orgoglio, l’amor proprio, l’egoismo: le trasformazioni sono tante. Se un film non ti trasforma, è inutile, una perdita di tempo. Ecco perché recitare per me è un’urgenza insopprimibile».

E invece i film che hanno trasformato lei?
«Se penso ai miei, ne ho fatti un’ottantina e non saprei da dove cominciare. Quelli degli altri… La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, poi Griffith e King Vidor».

Cosa pensa della figura dell’intimacy coordinator nelle scene di nudo?
«È un intervento razionale, in situazioni che hanno a che fare col desiderio. Ma lo capisco, troppi errori sono stati commessi. Dovrebbe spettare all’attore stabilire fino a che punto si sente libero di esprimersi, col consenso del partner. Questa potrebbe essere la formula accettabile».

È la giornata delle donne e per le donne.
«Di privazioni delle libertà vorrei che ci fossero più uomini a parlarne».

I femminicidi sono una piaga anche occidentale.
«Dall’educazione di millenni, le donne dovrebbero ricevere protezione da chi ha forza fisica. Anch’io, pur essendo stata cresciuta da una madre femminista, ho cercato l’uomo che protegge: quell’uomo non esiste. Ma le nuove generazioni sono più smaliziate».

Su quali basi potranno riconciliarsi, uomini e donne?
«L’intesa spirituale potrebbe allontanare le schematizzazioni e spostare il tema su un altro livello, più liberatorio, allora potremmo apprezzarci e non rinfacciarci ogni giorno io ho fatto i piatti e tu devi fare il bucato».

Lei ha detto tre volte no a Spielberg, perché è un regista di uomini e dinosauri e non di donne.
«Non ho detto esattamente questo. Ma certo che…La prima volta lavoravo a Gli amanti del Pont-Neuf e cercavamo il budget, poi ci fu Jurassic Park ma Film Blu di Kieslowski mi interessava molto di più, infine La lista di Schindler: ero incinta e non me la sono sentita di interpretare una donna stuprata, torturata e uccisa. Quando incontrai Spielberg, mi disse che non è vero che lui non sia attento alle donne, mi citò Meryl Streep. Ma non è così, è una generazione di cineasti attratti da guerre e gangster. Dissi lo stesso di Scorsese».

In che fase della vita è?
«Resto una persona curiosa, la ripetizione uccide, in arte e nella vita. Il mio gatto è appena morto, i miei figli sono andati a vivere da soli, è un momento di adattamento, di sofferenza e grande amore. Le cose che si chiudono aprono nuove prospettive. Sento che ogni cosa è possibile».

25 novembre 2025 ( modifica il 25 novembre 2025 | 20:19)