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Massimiliano Nerozzi, inviato a Bodo

La Juventus soffre freddo e Bodo Glimt, va sotto per il gol di Blomberg. Nella ripresa entra Yildiz e «scongela» il gioco bianconero, segnano Openda e McKennie. Cabal causa un rigore, rimedia David nel recupero

Kenan Yildiz è stato il sole di mezzanotte — quello che al Circolo polare viene in estate — per una Juve che, in un primo tempo senza di lui, era stata da «Trenta giorni al buio», tormentata dai propri difetti, l’imprecisione su tutti, e perseguitata dai mostri, un Bodo Glimt che aveva idee chiare e geometrie limpide: morale, dall’1-0 dell’intervallo per i norvegesi all’1-2, di Openda e McKennie, ma sempre sulla scia delle giocate del numero dieci.

Lo stesso che, anche a testa bassa, ha avuto la forza di puntare l’orizzonte dopo che, sullo sprint finale, i gialli avevano avuto la forza di impattare (2-2, su rigore da pollissimo di Cabal): Yildiz, che rispetto a Firenze deve aver trovato il martello di Thor, s’è fiondato in attacco, ha sfondato con l’uno contro uno e tirato, spalancando il tap-in di David. Uno dei resuscitati dalle piroette del figlio di Odino, insieme a Openda, al primo centro con Madama. Va così che la Juve rianima una classifica di Champions che, in caso di pareggio, avrebbe continuato a essere asfittica; troncando anche una fastidiosa serie di pareggi.



















































Il primo tempo, nonostante avesse appena smesso di nevicare era come le magliette dei giallissimi tifosi locali: «Artic winter is coming», l’inverno artico sta arrivando. Luciano Spalletti aveva provato la sterzatona: dentro Adzic, seconda da titolare (e la prima due mesi fa) e Miretti, che in bianconero non giocava dall’inizio dal 20 maggio 2024. Diciamo che non era andata benissimo, anzi, ma mica solo per i due giovanotti (anzi, Miretti si rifarà con una bella ripresa), ma perché i problemi erano quelli di sempre: squadra senza personalità che il più delle volte si accontenta di fare l’ordinario (quando va bene) o la scelta sbagliata (quando va male). Peggio, troppe azioni sono da giocatori senza qualità il che, a livello assoluto, neppure sarebbe vero. 

Solo che poi, tra una raffica di vento e un lancio, sbirci la telemetria della mezz’ora dalla quale salta fuori che i norvegesi hanno avuto il pallino del ritmo (60 per cento di possesso) e un maggior numero di passaggi precisi (177 a 118). Neppure serve neppure l’algoritmo. Azione manifesto: McKennie che, in transizione, sparava l’apertura in fallo laterale. Come dice il grande Dan Peterson, quando la palla fa zig, i giocatori fanno zag. Per fortuna, pure degli occhi di chi è costretto a guardare, che ogni tanto saltava fuori Conceiçao, unico presente di una prima metà avvilente: il portoghese attacca con un grande classico, dribbling a rientrare e tiro (Haikin in angolo); al giro successivo serviva una palla perfetta ad Adzic (boiata di ginocchio, sigh); e sull’uscio degli spogliatoi tirava il piattone addosso al portiere, ma chiudendo un’azione che lui stesso aveva avviato.

Nel frattempo, il Bodo aveva fatto quel che meglio sa: ritmi alti e, incredibilmente per chi è abituato ai bianconeri, passaggi verso il giocatore con la stessa maglia. Così s’era avvicinato alla porta di Perin, con metodo e ostinazione: gli squilli di Blomberg e Maatta, ribattuti, poi il gol dello stesso Blomberg, appostato sul secondo palo, dopo la spizzata di Hogh.

 Pandemonio. E la Juve sparita, come l’aereo spia di Gary Powers il primo maggio 1960, mai arrivato all’aeroporto di Bodo, un chilometro dallo stadio. Madama rispunterà una volta messo Yildiz ai comandi, tra progressioni e slalom, cui andranno dietro altri. A volte è davvero questione di seguire l’istinto, con un po’ di coraggio.

25 novembre 2025 ( modifica il 25 novembre 2025 | 23:26)