E così, in un modo o nell’altro, eccoci giunti al quarto numero di questa strana collana dedicata alla scienza spiegata alla cazzo di cane.

Come vedete, qua ci stiamo tutti montando un po’ la testa. Dopo un numero sul sesso, uno sulla merda e uno sulla bruttezza, mi pareva ovvio farne uno per lo più incentrato sull’astrofisica.

Che c’è, non l’avreste detto? Guardate che merda e astrofisica vanno a braccetto.

In realtà, la mia idea è di trasformare in formato libro quelle che sono tutte le seghe mentali che mi faccio con i miei amici durante le feste. E no, non servono nemmeno le sigarette simpatiche, ma alla fine siamo comunque tutti stupefatti.

Dato che state per imbarcarvi in una serie di mind-blowing onanistici sul cosmo, sul quel che conosciamo e soprattutto che non conosciamo, ho deciso di dedicare questa introduzione a un argomento facile facile, nonché fondamentale per capirsi: la quarta dimensione e lo spazio-tempo.

Audace da parte mia, lo so, ma proverò a farlo nel modo peggiore possibile. È pur sempre scienza brutta. E poi mi sento ispirato. Insomma, sono mesi che mi trascino la scrittura di questo pezzo, ma ora mi sembra il momento giusto. Sono in treno, e di fronte a me giuro che c’è un tizio che pare il cosplayer di Albert Einstein (il tizio coi baffi, avete presente?). Dev’essere un segno.

Mi sta guardando. Oddio, domandagli qualcosa…

Mi ha chiesto di guardargli le valigie. È andato in bagno. Faccio quest’effetto.

Dicevamo, lo spazio tempo, la base per capire il nostro Universo, tante delle cose che andrete ivi a leggere nonché una di quelle che rientrano appieno nel mio pantheon di seghe mentali. È da quando ero un 13enne che divoro libri in cui il concetto è spiegato, e ogni volta mi partono di quei viaggioni, e soprattutto segoni. Mentali. Poi se li dovevano subire pure le persone a me intorno, perché queste cose vuoi proprio raccontarle a tutti, specialmente quando nessuno te l’ha chiesto.

Il concetto di gravità ci è familiare. Lo incontriamo e comprendiamo fin dai primi giorni di vita. Ci rendiamo subito conto che saltando poi ripiombiamo al suolo, che le palle rotolano verso valle e che le chiavi cadono a terra. O, nel mio caso, nel tombino. Insomma, c’è qualcosa che spinge gli oggetti verso il basso, una forza invisibile, intangibile ma sperimentabile, nemica assoluta delle mie deambulazioni notturne e unico motivo per cui so che dovrei pulire sotto la credenza del salotto.

Se aveste chiesto a Newton cosa fosse questa famigerata “gravità” non avrebbe avuto dubbi. Vi avrebbe risposto: “Ah, boh. Va verso il basso. Basta?”. Non ci aveva capito niente manco lui. A proposito, l’aneddoto di Newton sotto l’albero a cui cade una mela in testa e lui si alza urlando “Oddio, la GRAVITÀ! L’avete vista?! Era qui, lo giuro, mi ha appena aggredito!”, ecco… è falso. È un aneddoto di fantasia, messo in giro da Newton stesso, ormai anziano.

Newton non ha inventato la gravità, anche perché non mi risulta che prima di lui la gente galleggiasse in aria. Nonostante questo, nemmeno lui era stato in grado di capire esattamente cosa cazzo fosse questa forza che spinge gli oggetti a spiaccicarsi al suolo. E quando il mondo ha bisogno di risposte, è un eroe (o un disagiato) l’unico che può fornirle.

Dopo tanti millenni di seghe mentali senza esito, ecco che, solo nei primi anni del Novecento, un giovine Albert Einstein giunge in soccorso. Perché proprio lui? Cos’aveva che tu non avevi? Be’, si ammazzava di seghe mentali, e questo è un fatto.

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