Gli amori e la ferita Gino Paoli

Ornella Vanoni scandisce la propria vita attraverso quattro grandi amori, ma uno svetta su tutti: «Il più grande, in fondo non l’ho mai lasciato», dice parlando di Gino Paoli. Il primo incontro è una scena quasi teatrale: «Era tutto vestito di nero». Subito dopo, il colpo di umorismo che la protegge da ogni retorica: «Bello? No. Mi avevano detto che scriveva canzoni di merda ed era frocio, mentre di me dicevano che portavo sfiga ed ero pure lesbica». Da lì, la sintesi perfetta.

La nascita di “Senza fine” restituisce la sostanza del loro legame creativo: lei chiede una canzone, lui porta solo la musica, senza strofe definite, forse già con l’idea di quelle «mani grandi», le sue, che l’avevano colpito. Ma l’amore non è solo ispirazione: «La nostra è una storia di passione, anche quella che fa soffrire», confessa. «Sentivo odore di altre donne, sentivo già odorino di Stefania (Sandrelli)», ricorda, raccontando di quando Paoli pretende che lei vada a trovarlo a Roma proprio per conoscere la nuova compagna: «Voglio che tu viva la vita che sto vivendo – mi disse. Mica facile, ma l’ho fatto».

Il punto più oscuro di quella storia d’amore arriva con il tentato suicidio di Paoli. «Una notte Paoli si spara. Andai a trovarlo in ospedale di notte, per non farmi notare dai fotografi», racconta. Da quel letto arriva una delle frasi che lei porta ancora addosso: «Mi disse: tutti ti vedono come un setter, invece sei un boxer» – il primo elegante, l’altro affettuoso e potente – e Vanoni commenta: «Ma io sono tutte e due le cose».