I padroni del tennis sono pianeti vicini e distanti, spesso disallineati: private equity e ricche famiglie, federazioni e circoli storici. Presto arriveranno anche i sauditi che quando decidono di scendere in campo, lo fanno con la forza – e i petrodollari – di un intero Paese. Sotto il profilo strettamente tecnico, la governance di questo sport è in mano a sette entità: i quattro Slam, l’Itf, l’Atp e la Wta. E questo è un bel problema quando si tratta di decidere. Ma nell’era dello sport business sappiamo benissimo che le leve del potere vengono mosse da chi tira fuori il grano, o da chi lo gestisce. Concentriamoci sul settore maschile. Il circuito professionistico si sviluppa, settimana dopo settimana, su 60 tornei del circuito maggiore, che corrispondono a 60 licenze. Cosa significa? L’Atp, l’associazione dei tennisti professionisti nata nel 1972 con una logica sindacale e trasformatasi nel responsabile del tour, assegna gli eventi agli organizzatori sul territorio, consegnandone la gestione e il relativo sfruttamento economico, in cambio di una serie di requisiti e garanzie.