Ornella Vanoni si è spenta a 91 anni nella sua casa di Milano, nel quartiere Brera, dove ha vissuto per lungo tempo. Una vita ricchissima, la sua, fatta di grandi gioie e di tanti dolori. E di grandi amori. Questa sera, prima della puntata di Una giornata particolare dedicata a Nerone, Aldo Cazzullo porterà in tv una lunga conversazione con lei, registrata poche settimane prima della sua morte. Cinquanta minuti che oggi prendono la forma di una testimonianza definitiva, un testamento per il pubblico di una donna che non ha mai separato la vita dalla musica, né la fragilità dall’ironia.
L’ultima intervista a Ornella Vanoni
Sin dalle prime immagini, Ornella Vanoni è lucida nell’elencare i suoi tanti ricordi, gli aneddoti che hanno costruito una vita già consegnata all’eternità. Il primo risale all’infanzia: il buio dei tunnel in macchina, le mani sugli occhi, la paura che veniva smorzata dal gioco. Poi la guerra, le bombe su Milano, il padre che la solleva alla Stazione Centrale in fiamme. “Da allora l’uomo per me è come John Wayne: ti protegge”. Ma subito arriva la sua lama ironica: “Non ne ho mai trovato uno così. Sarà che fuggo dalla protezione“.
Il capitolo Gino Paoli, inevitabile, si prende la scena come un vortice. Quello con lui è l’amore che “non ha mai lasciato”, l’incontro che ha cambiato il corso della sua musica e dei suoi desideri. “Era tutto vestito di nero”, ricorda, e subito gioca sulle dicerie che li accompagnavano: lui con “canzoni di m*rda”, lei “porta sfiga”. Due outsider perfetti. Quando le scrive Senza fine, Vanoni intuisce che quelle mani grandi che lui cantava erano le sue.
È una storia di passione, di travolgimenti e ferite: “Sentivo odore di altre donne, già l’odore di Stefania“, confessa poi. Eppure lei va a Roma per conoscere Stefania Sandrelli “per vivere la sua stessa vita”, come le chiede Paoli. Poi il colpo di pistola, la corsa notturna in ospedale, lui che la vede come un setter elegante e un boxer affettuoso: “Io sono tutte e due le cose”.
L’amore per Giorgio Strehler
Prima di Paoli c’era stato Giorgio Strehler, l’uomo che l’ha iniziata al teatro e all’amore. Non serve che risponda alla domanda diretta: il sorriso che le attraversa il volto vale più di qualsiasi parola. “Sono nata io in quel momento”, dice. Ma l’amore finisce quando lei cede al fascino di Renato Salvatori. Dietro, un mondo di gelosie, rivalità artistiche e confessioni che sgusciano tra le domande con la spontaneità cui ci aveva abituati.
Il racconto procede come una galleria di volti e atmosfere: Tenco “bello ma soccombente”, Adriano Celentano irresistibile nella sua eccentricità, Giorgio Gaber e Enzo Jannacci amati con devozione. Con Mina, invece, una partita a carte finita male: “Buttavo la carta sbagliata e lei mi mandava a quel paese”. Più tardi, una parola pesante al telefono: “Vigliacca”.
C’è spazio anche per un’altra verità: ha amato una donna, attratta da un corpo femminile “bello ma faticoso”. E per una Milano che non riconosceva più: “È diventata una città di miliardari, una città inaridita”.
E infine, un aspetto di sé che ha considerato solo negli ultimi anni di vita. La fede è in Cristo, non in Dio. I soldi sono finiti più volte, ma la serenità no. E la morte? “Vorrei deciderla io: quando non avrò più niente da dare”. Un congedo, forse. Oppure l’ultima, irresistibile prova di sincerità di Ornella Vanoni.
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