di
Maria Teresa Meli

Orlando (Pd): questo voto ha cementato la nostra coalizione

Andrea Orlando, come mai tutto questo entusiasmo per il risultato della Campania e della Puglia che era scontato?
«Glielo spiego: io penso che abbia ragione Schlein quando sostiene che questo è un passaggio che cementifica in modo definitivo la coalizione, che c’è, regge, vince ed è competitiva anche nelle regioni in cui perde. Si è definito un punto di non ritorno, dal quale non si potrà più prescindere anche nel dibattito interno alle forze politiche».

Il centrodestra adesso accelera sulla riforma elettorale. Lei che ne pensa?
«Mi pare sintomatico che lo chieda il giorno dopo la sconfitta in due regioni. Ho letto dichiarazioni di Donzelli di una involontaria comicità. Indicava la legge elettorale delle Regionali come il sistema perfetto a cui fare riferimento. Nel contempo veniva registrato il 60 per cento di astensionismo in questa tornata. Ma una legge per funzionare bene non è sufficiente che preveda un vincitore certo, deve favorire la più vasta partecipazione elettorale, perché il protagonista del voto è il popolo. Le affermazioni di Donzelli sono abbastanza indicative dell’idea di democrazia che hanno».



















































Lei ritiene che il centrodestra abbia paura di non farcela nei collegi del Sud e per questo voglia la riforma?
«Mi pare assolutamente evidente che questo sia lo scopo. E che non facciano nulla per nasconderlo. Dobbiamo tralasciare qualsiasi discussione su quale sarebbe la legge elettorale migliore o meno peggio e dire con nettezza che l’attuale sistema non si cambia. Discutere ogni ipotesi messa sul tavolo è un modo per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta, cioè il premierato».

Venerdì comincia la tre giorni di Montepulciano, il convegno voluto dal cosiddetto correntone, che sostiene Schlein. Il vostro intento è quello di condizionare la segretaria?
«A Montepulciano non nasce nessuna nuova corrente, piuttosto si creano le condizioni per un dibattito. E ogni dibattito, se efficace, condiziona. Credo che quello che stiamo promuovendo sia assai trasparente e molto lontano dalle ricostruzioni che sono state fatte dai giornali che vogliono il tutto ricondotto a caminetti e giochi di corrente. Si discuterà in modo aperto e partecipato di ciò di cui abbiamo cominciato a parlare quando decidemmo di sostenere Schlein tra gli iscritti contro ogni pronostico, di come vincere la sfida delle prossime elezioni e di come consolidare la sua leadership».

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A proposito di leadership. Il centrodestra risolve tranquillamente la questione del candidato premier: il leader del partito che prende più voti va a Palazzo Chigi voi invece…
«È una questione che va discussa con gli alleati, ma è evidente che, a maggior ragione dopo queste elezioni, l’aspirazione del Pd a offrire la leadership alla coalizione è assolutamente fondata. Se serve si può anche pensare alle primarie, ma una volta tanto potremmo anche “copiare” il centrodestra».

Il Pd, a questo punto, andrà al congresso anticipato? Se ne sente parlare di nuovo dopo il voto delle Regionali.
«Non so quale sia la forma e non mi interessa dibattere su questo, ma penso che ci voglia un momento per parlare, elaborare un programma, confrontarci tra di noi, ma soprattutto con i cittadini anche alla luce dell’astensionismo, anche perché il quadro da quando abbiamo eletto Elly è cambiato».

C’è chi dice che anche il Pd è cambiato, che è troppo sbilanciato a sinistra.
«È una discussione surreale. Ma come si fa a dire che il Pd è troppo radicale? Parliamo di un partito che, al netto della questione dei diritti civili, ha nel proprio programma il sostegno alle imprese, la sanità pubblica e la questione salariale. Praticamente il programma della Dc negli anni ’70 che in più sosteneva l’intervento pubblico in economia. Scherzi a parte, semmai il problema è quello di costruire un partito che oltre a parlare al ceto medio parli ai settori più marginali e popolari della società. Non dimentichiamoci, infatti, che c’è stata una secessione democratica nei settori più poveri, che non votano più. L’astensionismo è un fattore generazionale e contemporaneamente di classe».


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26 novembre 2025 ( modifica il 26 novembre 2025 | 08:31)